Fascicolo n. 3235/2011
Oggetto: Gare per l’affidamento in concessione di “servizi per il pubblico”, ex art. 117 del Codice dei Beni Culturali, e di “servizi strumentali” presso siti culturali nazionali
Stazione Appaltante: Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico Artistico ed EtnoAntropologico e per il Polo Museale della Città di Roma; Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Lazio; Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della Città di Firenze; Soprintendenza Speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei
Riferimenti normativi: art. 41 Cost.; artt. 110, 115, 117, D.Lgs. 42/2004; art. 1 L. 241/90; artt. 2, 29, 30, 37, 69, 75, 83, 84, 113 D.Lgs. 163/2006
Il Consiglio
Vista la normativa sopra richiamata;
Vista la relazione della Direzione Generale Vigilanza Lavori Servizi e Forniture,
Considerato in fatto
L’esposto e l’avvio del procedimento di vigilanza
L’Associazione Confcultura - associazione delle imprese private che gestiscono i servizi per la valorizzazione, fruizione e promozione del Patrimonio Culturale - ha posto all’attenzione dell’Autorità alcune previsioni della lex specialis delle gare in oggetto, ritenute non conformi alle norme del Codice dei Contratti Pubblici.
Nello specifico, l’Associazione ha censurato:
(1) il disegno elaborato dalla stazione appaltante riguardo al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, in quanto renderebbe sostanzialmente irrilevante l’offerta economica assegnando alla stessa solo 30 dei 100 punti complessivi. I servizi, dunque, sarebbero, di fatto, affidati sulla base dei 70 punti assegnati all’offerta tecnica con voci caratterizzate da amplissima discrezionalità;
(2) il costo del monitoraggio delle performances e della qualità dei servizi resi eseguito da una società terza, in quanto, essendo tale costo a carico del concessionario, aggraverebbe gli oneri per quest’ultimo e renderebbe di dubbia imparzialità la verifica dell’adempimento;
(3) il calcolo delle cauzioni, poiché sarebbe comprensivo anche della quota di ricavi di competenza dell’Amministrazione;
(4) la possibilità di presentare offerte in ATI anche da parte di soggetti non selezionati, congiuntamente a soggetti ammessi alla presentazione dell’offerta, consentendo in tal modo a soggetti non previamente qualificati di partecipare alla fase successiva della procedura di gara ristretta;
(5) il modulo predisposto per l’offerta economica, in quanto non richiamerebbe il piano economico e finanziario asseverato da istituto bancario chiesto ai concorrenti;
(6) l’impegno ad assumere i dipendenti occupati dal precedente concessionario (c.d. “clausola sociale”), giacchè si porrebbe, tra l’altro, in contrasto con la libertà di iniziativa economica privata.
L’Autorità, alla luce del suddetto esposto ed anche di articoli di stampa nazionale che riferivano di un ampio contenzioso con conseguente rallentamento delle gare, preso atto delle criticità emerse in concreto in ordine a gare alquanto complesse, ha avviato procedimento di vigilanza nei confronti di ciascuna Amministrazione procedente, nonché della competente Direzione per la Valorizzazione del Patrimonio Culturale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali (di seguito anche “Direzione”).
L’Autorità, inoltre, considerata l’importanza strategica ed economica della questione, sempre più attenta alla materia de qua (cfr. anche ultima Relazione annuale al Parlamento) e nell’ottica di una efficace collaborazione tra Istituzioni, ha invitato il Ministro competente a designare un rappresentante delegato per dialogare, in generale, con l’Autorità al fine di procedere alla più celere ed efficace definizione della problematica in esame.
L’attività istruttoria, oltre agli aspetti evidenziati dal segnalante, ha riguardato, altresì, i seguenti aspetti:
(7) il requisito di partecipazione, richiesto nella “Sollecitazione per l’affidamento del servizio di ristoro”, di essere esercente di 3 (in taluni casi 2) punti di ristoro “sotto un unico marchio” e la previsione che non “saranno considerati i punti di ristoro per i quali non si risulta più esercenti, al momento della presentazione della domanda di partecipazione”, in quanto tali requisiti sono apparsi restrittivi della platea dei potenziali concorrenti.
Inoltre, è stato contestato il requisito di dimostrare l’esercizio di tre punti di ristoro “in maniera continuativa” congiuntamente al requisito del “fatturato lordo complessivo per ciascun punto di ristoro non inferiore a […]”, posto che i livelli di fatturato indicati nei vari casi in esame si sarebbero potuti, in ipotesi, raggiungere anche in maniera non continuativa;
(8) la mancata specificazione del valore stimato dei seguenti servizi: “E-commerce e gestione sito internet”; “Assistenza didattica e laboratori didattici”; “Progettazione, organizzazione, e realizzazione eventi e mostre”; “Prenotazione e prevendita”, motivata, secondo le stazioni appaltanti, dal fatto che i servizi non erano attualmente presenti nel sito culturale o perché non risultava disponibile il fatturato storico oppure, infine, in quanto “non stimabile”;
(9) i requisiti di partecipazione, indicati nella “Sollecitazione alla domanda di partecipazione” alla gara (di seguito anche Sollecitazione) per l’affidamento dei servizi di libreria, di aver svolto i servizi oggetto della procedura di gara “in maniera continuativa” e venduti “con un unico marchio”, in quanto atti a restringere la platea dei potenziali concorrenti; così come il requisito di “essere [ancora, ndr] esercente” “al momento della presentazione della domanda di partecipazione” di tre punti vendita, altrimenti i relativi punti vendita non sarebbero stati conteggiati;
(10) la dubbia ricorrenza di casi eccezionali e/o di interventi strutturali a carico del concessionario in ordine all’estensione della durata delle concessioni dei servizi in oggetto ad otto anni rispetto alla durata media di 6 anni indicata dal MiBAC;
(11) la previsione di aver svolto i servizi di accoglienza in più di 5/6 siti /istituti, quando in genere nei bandi di gara è stato indicato in più di tre siti/istituti;
(12) la decisione di aggregare tutti i “servizi per il pubblico”, sia quelli elencati all’art. 117, co. 2, D.Lgs. 42/2004, sia quelli previsti negli Aggiornamenti ed Integrazioni alle “Linee guida in materia di attivazione ed affidamento in concessione dei servizi per il pubblico negli istituti della cultura italiani” (di seguito anche “Linee Guida”), ad esclusione proprio del servizio di libreria e/o del servizio di ristoro.
(13) lo stato attuale delle procedure, considerata la preoccupante fase di stallo delle varie gare in essere. A tale riguardo è stato chiesto di indicare, in particolare: il numero e la ragione/denominazione sociale sia degli operatori economici che hanno presentato le domande di partecipazione, sia dei soggetti ammessi a proseguire le procedure di gara e degli eventuali aggiudicatari; l’esistenza e lo stato del contenzioso in corso, con indicazione dei provvedimenti giudiziari eventualmente intervenuti.
Le risultanze istruttorie
Direzione per la Valorizzazione del Patrimonio Culturale - Ministero per i Beni e le Attività Culturali
La Direzione, nell’ambito delle proprie competenze di indirizzo e coordinamento, ha riferito quanto segue, in ordine ai punti di contestazione sopra riportati.
(1) La prevalenza della componente tecnica appare giustificata, nel caso di specie, dalla oggettiva preponderanza delle valutazioni progettuali ed organizzative del servizio, in grado di incidere sulla redditività della concessione in misura più significativa di quanto accada nel caso di appalti pubblici, rispetto alla maggiore o minore economicità del medesimo.
(2) “Una simile previsione non è contemplata nella documentazione di gara”.
(3) La questione è stata oggetto di decisione del Tar Lazio, Sez. II-quater, sentenza n. 239/2012, appellata dal MiBAC avanti il Consiglio di Stato (ricorso ancora pendente al momento dell’invio della risposta da parte del Ministero. Si evidenzia che il Coniglio di Stato ha successivamente accolto tale appello con sentenza n. 3764/2012, v. ampiamente infra).
Il criterio per il calcolo della cauzione provvisoria è stato tratto dalla circolare n. 49/2009, ossia dalle suddette Linee Guida, secondo le quali “il valore economico convenzionale della concessione dei servizi aggiuntivi negli Istituti di cultura statali è determinato nella somma degli importi di tutte le componenti del regolamento economico dei rapporti contrattuali in questione (canone fisso, percentuale del fatturato a favore dell’amministrazione, quota dei proventi dei servizi di biglietteria da versare allo Stato, corrispettivi per la prestazione dei servizi a favore del concessionario)”.
Pertanto, le garanzie devono essere ragguagliate al valore della concessione corrispondente a tutti i ricavi attesi nel periodo di durata del contratto, comprensivi tanto dei corrispettivi destinati a remunerare il concessionario, quanto delle somme che quest’ultimo deve versare all’amministrazione concedente, anche alla luce del fatto che il concessionario percepisce e trattiene presso di sé, per un cospicuo lasso di tempo, l’intero ricavato sia della bigliettazione che della vendita di prodotti commerciali e della circostanza che le cauzioni devono garantire una duplice copertura: dal danno che può subire l’amministrazione per la mancata percezione dei canoni e dal danno per la mancata fruizione del bene da parte dell’utenza.
(4) La possibilità di presentare offerte in ATI anche da parte di soggetti non selezionati, congiuntamente a soggetti ammessi alla presentazione dell’offerta, “mira a consentire una più ampia partecipazione alle procedure di gara, anche alla luce del lasso di tempo intercorso tra l’indizione dei singoli procedimenti e la spedizione degli inviti a presentare offerta”.
(5) I documenti che devono essere contenuti nella busta dell’offerta economica sono due, ciascuno corrispondente a separati formati predisposti dalle Amministrazioni per cui non vi è alcuna necessità che un documento faccia riferimento all’altro.
(6) La questione è stata sottoposta alla cognizione del giudice amministrativo nella richiamata sentenza Tar Lazio 239/2012, che ha accolto le istanze del ricorrente.
Si evidenzia, al riguardo, che il Consiglio di Stato (sentenza 3764/2012, cit.) ha successivamente accolto il ricorso in appello dell’Amministrazione, come meglio evidenziato nelle considerazioni in diritto (v. infra).
L’inserimento della “clausola sociale” negli atti di gara - “ferma restando la facoltà di armonizzare l’organizzazione del lavoro, previo confronto sindacale, con le proposte e le esigenze dell’impresa subentrante” - trova legittimazione nel protocollo d’intesa trilaterale sottoscritto in data 10 dicembre 2010 dal MiBAC, dalla Confcommercio settore terziario, dalla Fipe comparto pubblici esercizi e da alcune organizzazioni sindacali.
La clausola “attiene alla fase di esecuzione del contratto, nel corso della quale l’impresa aggiudicataria dovrà appunto provvedere ad impiegare i lavoratori già operanti nell’ambito del precedente rapporto concessorio, e non concerne, invece, la fase di prequalificazione, ancora disancorata dalle caratteristiche del servizio da espletare”.
(7) - (10) I rilievi sarebbero sostanzialmente inutili, “dal momento che la eventuale deduzione di vizi di legittimità (qualora in concreto rilevanti ai fini della impossibilità di prendere parte alla competizione, e quindi con un giudizio riferibile caso per caso ad ogni complesso oggetto del rapporto concessorio) avrebbe dovuto essere sollevata nell’immediatezza della pubblicazione della sollecitazione, e non impetrata oltre i termini della sua potenziale impugnazione”.
Infine, si rileva che la Direzione, nella recente nota fatta pervenire all’Autorità a seguito dell’audizione convocata dal Consigliere Relatore del 22 febbraio u.s., nel ribadire quanto appena sopra rappresentato circa i punti di criticità della lex specialis di gara, ha evidenziato lo stato del contenzioso in atto e lo stato di attuazione delle gare contestate nonché le azioni intraprese dal mese di agosto 2012 al febbraio 2013, tra cui l’invito agli stakeholder di produrre dei contributi scritti da consegnare alla Direzione entro il 13 gennaio 2013; contributi che sarebbero attualmente esaminati da una Commissione costituita ad hoc dalla Direzione con l’obiettivo dell’ulteriore revisione alle Linee Guida, le quali “tenendo in primo luogo conto delle osservazioni che codesta Autorità vorrà formulare rispetto all’attività pregressa, orienteranno, per il futuro, l’attività dell’Amministrazione MiBAC nel suo complesso”.
Soprintendenza di Roma
La Soprintendenza di Roma ha indetto tre distinte gare, nello specifico, per l’affidamento dei servizi di “Libreria” con b.a. pari ad Euro € 9.163.000,00 (IVA esclusa), del servizio di “Ristoro” b.a. € 6.199.227,00 (IVA esclusa) e dei servizi “Integrati”, b.a. € 40.579.329,00 (IVA esclusa); tutte aventi scadenza 15.09.2010, per un rapporto contrattuale avente durata 6 anni con verifica intermedia del perdurante equilibrio economico del rapporto al termine del primo triennio.
Per quanto concerne le questioni (1) - (6), la Soprintendenza di Roma ha prevalentemente rimandato alle comunicazioni già fornite all’Autorità dalla Direzione, sopra evidenziate, aggiungendo a tal riguardo solo che: (1) i parametri di valutazione dell’offerta tecnica sono sufficientemente analitici per assicurare una valutazione trasparente; (2) “l’onere dell’attività di monitoraggio non risulta essere a carico del concessionario”; la questione della dubbia imparzialità “sarebbe nei fatti inesistente poiché … gli oneri in capo al concessionario, anche qualora presenti, sarebbero versati alla Stazione Appaltante la quale ha l’obbligo di selezionare il soggetto deputato al monitoraggio, con il quale intratterrà una relazione esclusiva, da cui è esclusa qualsiasi interferenza del concessionario”.
In ordine, invece, alle puntuali censure rivolte all’Amministrazione ha riferito quanto segue.
(7) Tali requisiti di partecipazione risultano “irrinunciabili” per il giudizio sulla qualificazione del soggetto concorrente e la sua capacità di eseguire il servizio oggetto di concessione.
(8) In assenza di sufficienti elementi di conoscenza, “si è ritenuto opportuno non procedere alla stima del valore economico generabile dai servizi, affidando agli stessi il ruolo di fornire, in un’ottica di sperimentazione, i primi dati quali-quantitativi dei livelli di servizio generabili nei suddetti luoghi di cultura”.
(9) “La continuità del soggetto concorrente, nonché l’unitarietà aziendale, oltre che la forza/riconoscibilità/visibilità del marchio, costituiscono elementi di estrema rilevanza per la selezione del concessionario”.
“Il fatturato lordo (cumulato nel triennio di riferimento) indicato – pari a 1.500.000,00 euro – costituisce una soglia non restrittiva della concorrenza nel settore (equivalente a 500.000 euro/annui) … [in quanto, ndr] abbassare la soglia del fatturato lordo cumulato (ad es. ad 1 MLN di Euro) può potenzialmente aprire a circa 300.000 imprese dei servizi di ristorazione (dati CamCom – Fipe, 2011) l’ammissibilità alla gara, rendendo inefficace qualunque procedura di selezione”.
Soprintendenza di Napoli e Pompei
La Soprintendenza di Napoli e Pompei ha bandito tre distinte procedure ristrette, due per l’affidamento in concessione dei servizi di “Libreria” nelle Aree archeologiche di Pompei ed Ercolano (NA), b.a. € 2.656.204,00 (IVA esclusa), e nei Siti culturali di Napoli e prov. e Reggia di Caserta, b.a. € 4.039.364,00 (IVA esclusa) ed una per l’affidamento dei servizi “Integrati” nelle Aree archeologiche di Pompei, Ercolano ed altre (NA), b.a. € 83.889.120,00 (IVA esclusa); tutte con scadenza 15.09.2010, per un rapporto contrattuale avente durata di 6 anni con verifica intermedia, al termine del primo triennio, del perdurante equilibrio economico del rapporto.
Per ciò che concerne i richiesti chiarimenti (1) - (12), si deve evidenziare che la Soprintendenza di Napoli e Pompei si è del tutto richiamata a quanto riferito ed argomentato dalla Direzione, su menzionato.
Si evidenzia, infine, l’intervento del Tar Campania con sentenza n. 677/2012 favorevole ai ricorrenti, sospesa dal Consiglio di Stato con ordinanza n. 2190/2012 (v. sent. CdS n. 3764/2012 del 26.06.2012 inerente alle gare del Polo Museale Romano).
Soprintendenza di Firenze
La Soprintendenza di Firenze ha indetto due procedure di gara, una per l’affidamento dei servizi di “Libreria” con b.a. € 47.100.000,00 (IVA esclusa) e l’altra per l’affidamento dei servizi “Integrati” con b.a. € 160.700.000,00 (IVA esclusa); tutte con scadenza 15.09.2010, per un rapporto contrattuale avente durata 6 anni con verifica intermedia, al termine del primo triennio, del perdurante equilibrio economico del rapporto.
La stazione appaltante, in ordine ai chiarimenti ed alla documentazione richiesta dall’Autorità, si è riferita a quanto già chiarito dalla Direzione.
Si evidenzia, infine, che il T.A.R. Toscana, Sez. II, con sentenza n. 700/2012 ha annullato la gara avente ad oggetto il servizio di ristoro, ravvisando una indeterminatezza delle prestazioni oggetto della procedura ed un contrasto tra l’oggetto della Sollecitazione e le prestazioni richieste con la Lettera di Invito, con particolare riferimento al progetto di allestimento degli spazi, che, secondo le previsioni della Lettera di Invito, avrebbe dovuto comprendere anche interventi di carattere sia murario che impiantistico di notevole entità, non previsti invece nella Sollecitazione. A seguito della richiamata sentenza, la Soprintendenza avrebbe richiesto all’Avvocatura dello Stato di Firenze di ricorrere in giudizio del Consiglio di Stato (cfr. nota Soprintendenza del 21.02.2013).
Direzione Regionale del Lazio
La Direzione Regionale del Lazio ha indetto due procedure di gara, una per affidare in concessione i servizi di “Ristoro”, b.a. € 2.618.000,00 (IVA esclusa) e l’altra per l’affidamento in concessione dei servizi “Integrati”, b.a. pari ad Euro € 28.854.000,00 (IVA esclusa); tutte con scadenza il 15.09.2010 e durata 8 anni.
Per quanto concerne le questioni (1) - (6); (7) e (9), la Direzione Regionale del Lazio ha rinviato alle suddette controdeduzioni della Direzione ministeriale, fornendo una precisazione solo in ordine alla doglianza (2): “come specificato anche nelle risposte ai quesiti posti dai concorrenti … la previsione dell’impegno a corrispondere da parte del concessionario un corrispettîvo annuale per lo svolgimento di tali attività costituisce un refuso … Una simile previsione, pertanto, non è contemplata nella documentazione di gara”.
Riguardo, invece, alle doglianze specificatamente contestate all’Amministrazione periferica è stato riferito che:
(8) il servizio di “Progettazione e realizzazione eventi e mostre” “risulta essere strettamente legato alla tipologia e al numero - estremamente variabile di anno in anno - di eventi/mostre proposti, come, d’altronde, specificato nella nota 2 a pag, 3 della sollecitazione alla domanda di partecipazione”.
Il valore del servizio di “E-commerce e gestione del sito internet” “non è stimabile non essendo attualmente in essere in nessuna delle sedi di servizi oggetto dell’appalto; non si è proceduto ad una previsione in quanto avrebbe potuto non avere riscontri concreti e si è preferito valutare, in seguito, i dati certi del trend del servizio in esame”.
Per il servizio di “Assistenza didattica e Laboratori didattici” “non è disponibile un fatturato storico e che non si è voluta evidenziare la sua eventuale incidenza nelle valutazioni economico-gestionali dei siti in quanto il concorrente, vista la natura di tale attività, pur dovendo garantire la sua elevata qualità, avrebbe potuto considerarlo non esclusivamente una fonte di ricavi quanto piuttosto uno strumento di fidelizzazione del pubblico”;
(10) l’estensione temporale è dovuta agli “sforzi richiesti ai due nuovi concessionari - in considerazione alla necessità di aprire al pubblico per la prima volta il Santuario, di gestire il centro dì orientamento presso La Rocca anch’esso di nuova installazione, di aprire sia il ristorante nel Santuario sia i due chioschi a villa Adriana”;
(12) risulta di particolare importanza il processo di integrazione “orizzontale” e “verticale” nell’ambito dell’affidamento dei servizi museali.
Ritenuto in diritto
Prima di esaminare nel merito le singole censure, appare opportuno soffermarsi brevemente sul contesto di riferimento della questione de qua.
Il Ministero per i Beni e le Attività Culturali negli ultimi anni ha posto particolare attenzione al ruolo che i “servizi per il pubblico” (art. 117, D.Lgs. n. 42/04) rivestono nell’ambito della valorizzazione del patrimonio culturale italiano, obiettivo strategico per l’economia del Paese, dalla quale è scaturito un rilevante processo di ritrutturazione della domanda nel mercato dei servizi delle attività di valorizzazione e gestione dei beni culturali.1
Attraverso la competente Direzione, pertanto, il Ministero ha provveduto, nel maggio 2010, all’aggiornamento e all’integrazione delle “Linee guida in materia di attivazione ed affidamento in concessione dei servizi per il pubblico negli istituti della cultura italiani” (cfr. allegato 1 alla circolare ministeriale n. 49 del 23.03.2009) con conseguente elaborazione di nuovi bandi-tipo per l’affidamento dei servizi de quibus, cui le Amministrazioni periferiche hanno fatto riferimento nel disegno delle rispettive procedure ad evidenza pubblica qui in esame.
Tuttavia, nonostante il notevole impegno profuso dal MiBAC nell’attività di regolamentazione di una materia sicuramente ampia e controversa - di cui si apprezza, in particolare, la scelta di orientarne il contenuto alle complessive prescrizioni del Codice dei Contratti Pubblici in materia di appalti ordinari, sebbene si tratti di concessioni - è sorto un notevole contenzioso, con ampia eco anche sugli organi di stampa, a causa del quale la maggior parte delle numerose gare bandite (in prevalenza di notevole rilevanza economica) non sono state ancora aggiudicate, con ritardi, allo stato, ormai di quasi tre anni.
Nelle more della conclusione delle procedure di selezione in atto, i servizi in esame continuano ad essere erogati dai precedenti gestori in regime di proroga; proroghe - si deve evidenziare - ormai non più sostenibili a livello normativo e, dunque, foriere anche di possibili profili di danno erariale.
Si palesa pertanto la necessità di dare una definizione alla spinosa situazione creatasi nel mercato dei servizi aggiuntivi museali, con particolare riferimento alla rete museale statale, affinché il mercato superi la situazione di stallo in cui versa, rendendo prioritari i criteri di innovazione nella progettazione strategica e gestionale, al fine di rendere competitivo sulla scena internazionale e sempre più redditizio l’immenso patrimonio culturale del Paese.
Nel merito dei singoli profili contestati nelle gare in oggetto, si possono allo stato rimettere le seguenti considerazioni.
In relazione alla prima doglianza (1), occorre stabilire se le scelte operate dalle stazioni appaltanti in ordine al disegno del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa2 (cfr. artt. 83-84 D.Lgs. 163/2006), con particolare riferimento all’ampio peso attribuito all’offerta tecnica (70 punti dei 100 complessivi) ed ai criteri di valutazione adottati.
Al riguardo si osserva, preliminarmente, che la ripartizione del punteggio tra offerta economica (30/100) e offerta tecnica (70/100) non appare irrazionale e illogica alla luce delle peculiarità e delle caratteristiche dei servizi affidati. Infatti, considerando l’importanza dell’elemento qualitativo dei servizi in questione al fine di migliorare la fruizione dei beni culturali e coerentemente con il costante orientamento giurisprudenziale consolidatosi in merito, si ritiene che, qualora la procedura di gara sia governata dal criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, la scelta discrezionale circa la ripartizione del punteggio tra componente tecnica ed economica può essere sindacabile “solo se illogica e irragionevole” (cfr., ex multis, CdS, Sez. V, n. 7409/2010). Pertanto, si concorda sul punto con quanto riferito dal MiBAC, già evidenziato nella parte in fatto.
Tanto premesso, si deve peraltro evidenziare che la decisione di attribuire una rilevanza preponderante all’aspetto tecnico dell’offerta deve essere accompagnata da prescrizioni dettagliate in ordine all’aspetto qualitativo delle prestazioni richieste.
In proposito, si osserva che i criteri ed i sub-criteri, con relativi punteggi, previsti dalle Lettere di Invito per la valutazione dell’aspetto qualitativo dell’offerta appaiono sufficientemente definiti; tuttavia, è da evidenziare che i criteri motivazionali (cfr. ex multis, art. 6.4 – Attribuzione dei punteggi relativi al Concept dell’Offerta Tecnica – criteri motivazionali, Lettera di Invito Soprintendenza di Roma), invero, non sembrano adeguatamente dettagliati al fine di circoscrivere le valutazioni della Commissione di gara entro i soli confini della legittima discrezionalità. Al riguardo, appare dunque necessario che le Amministrazioni, per le future evenienze, provvedano a meglio definire tali criteri motivazionali per rendere il compito delle Commissioni di gara più efficiente e aderente alle prescrizioni normative nonché ai chiarimenti forniti dalla stessa Autorità ed all’orientamento della consolidata giurisprudenza in materia.
Quanto alla censura (2) - costo del monitoraggio delle performances e della qualità dei servizi resi dal concessionario, posto dalla stazione appaltente a carico del concessionario stesso - si prende atto di quanto emerso dalle risultanze istruttorie circa il fatto che tale previsione costituendo un mero refuso di fatto “non è contemplata nella documentazione di gara”.
In relazione alla contestazione (3) - cauzioni - si evidenzia che la questione sottoposta all’esame dell’Autorità attiene alla definizione del valore della concessione ai fini del calcolo percentuale della cauzione ed alla possibilità di rapportare quest’ultima anche all’intero incasso previsto per la vendita dei biglietti, pur essendo detto incasso in massima parte (almeno il 70%) per vincolo legale destinato all’Amministrazione (sul punto v. infra).
Innanzitutto, si deve prendere atto del fatto che tale questione è già stata sottoposta al vaglio del giudice amministrativo.
Il giudice di prime cure aveva stabilito che “la cauzione provvisoria deve essere calcolata sul valore dei servizi dati in concessione, ovvero sul totale dei corrispettivi che il concessionario trae per la gestione del servizio (nel caso di specie dei servizi aggiuntivi); tale valore pertanto non può essere calcolato - come invece ha fatto il Ministero resistente - con riferimento al totale dei presunti introiti derivanti cumulativamente dalla vendita dei biglietti e dai corrispettivi per tutti i servizi complementari o aggiuntivi, giacché in tale importo è compresa anche la quota parte spettante alla amministrazione per la fruizione del museo da parte del pubblico, attività estranea all’oggetto della concessione” (T.A.R. Lazio n. 239/2012, cit. In proposito anche T.A.R. Campania, Sez. I, sentenza n. 677/2012, cit.).
Il Consiglio di Stato, in appello, non ha condiviso le suddette conclusioni ed ha sostenuto, invece, che “appare difficile, in tale contesto, identificare l’aggio (che l’Amministrazione corrisponde al gestore dei servizi museali dopo la trasmissione, da parte di quest’ultimo, dei proventi complessivi dei servizi svolti) con il “valore” complessivo di tali servizi ai fini della prestazione di garanzia, di cui al più volte citato art. 75 del codice dei contratti … [in quanto, ndr] per la concessione (svincolata dagli ordinari parametri sinallagmatici) il valore di riferimento non può che essere commisurato all’utilità complessiva che il bene è in grado di produrre e che lo stesso ente proprietario può trarre dalla relativa gestione diretta, o dall’affidamento a terzi”.
Il Supremo Collegio ha inoltre stabilito che “le medesime finalità di interesse pubblico impongono che le garanzie, richieste al concessionario, siano idonee ad assicurare la copertura del rischio di mancata formalizzazione dell’accordo (come di successiva non corretta gestione del servizio): una copertura che non può non comprendere la delicata attività di maneggio di denaro, corrispondente alla riscossione del prezzo dei biglietti, alla relativa contabilizzazione e custodia ed al successivo trasferimento alla sezione di Tesoreria provinciale dello Stato, in una complessa “partita di giro“”.
A margine delle richiamate statuizioni del giudice amministrativo, appare necessario porre in luce l’aspetto dirimente della controversa, innovativa e complessa questione in esame, che sembra averne rappresentato l’equivoco di fondo, ovvero le peculiarità dell’affidamento integrato dei servizi museali aggiuntivi, come congegnato dal legislatore nel Codice dei Beni Culturali.
Si rammenta, infatti, che la contestazione de qua è sorta in relazione a gare nelle quali le stazioni appaltanti hanno scelto di integrare in un’unica procedura selettiva - di concessione - sia i servizi propriamente “per il pubblico” (ad es. servizi di accoglienza o di caffetteria) ex art. 117, co. 2, D.Lgs. 42/2004 - i quali rappresentano i servizi che per espressa previsione legislativa devono essere affidati in concessione (v. art. 117, co. 4, D.Lgs. 42/2004) qualora si scelga di gestirli in forma indiretta (cfr. art. 115, co. 3, D.Lgs. 42/2004) - sia i servizi tecnicamente strumentali al servizio pubblico di competenza delle Amministrazioni (ad es. la biglietteria o la pulizia), che in linea generale, invece, sono normalmente affidati in appalto (cfr. Cass., Sez. Unite, n. 12252/2009)3 .
In tal caso, infatti, il legislatore, in ossequio al principio di economicità dell’azione amministrativa, che si declina anche sotto il profilo del conseguimento degli obiettivi con il minor dispendio di mezzi procedurali, ha espressamente previsto che i servizi strumentali possono essere affidati in forma integrata con i servizi per il pubblico (cfr. art. 117, co. 3, D.Lgs. 42/2004); in tale evenienza, dal combinato disposto dell’art. 117, commi 3 e 4, e dell’art. 115, comma 3, del Codice dei Beni Culturali, si evince che l’Amministrazione deve procedere tramite concessione.
In altri termini, qualora la stazione appaltante decida di gestire i servizi strumentali in modo integrato con i servizi per il pubblico, gli stessi servizi strumentali vengono attratti nella procedura di gara con cui vengono affidati, in concessione, i servizi per il pubblico.
Quanto precede concorre a formare l’opinione che l’affidamento dei servizi strumentali, nel precipuo caso in esame, si integra in una concessione ma - si noti - esclusivamente da un punto di vista procedurale, non sostanziale. Pertanto, la relativa controprestazione non può essere rappresentata dal diritto di gestire tali servizi (art. 3, co. 12, D.lgs. 163/2006) “e di sfruttare economicamente” i servizi medesimi (art. 30, co. 2, D.Lgs. 163/2006), ma corrisponde al prezzo di tale tipologia di servizi, ai sensi di quanto disposto dall’art. 3, commi 6 e 10, D.Lgs. 163/2006 e dall’art. 1655 cod. civ.
È di tutta evidenza, dunque, che nel peculiare caso di specie il valore della complessiva concessione, da computare ai sensi dell’art. 29 D.Lgs. 163/2006, su cui calcolare il 2% di cauzione provvisoria ex art. 75 D.Lgs. 163/2006, dovrebbe più propriamente essere stimato secondo due distinte metodologie, ognuna aderente alla sostanziale natura dei servizi integrati in affidamento.
Nello specifico, il valore dell’affidamento in concessione relativo ai servizi strumentali dovrebbe corrispondere al corrispettivo del servizio reso dall’affidatario, mentre il valore dell’affidamento in concessione concernente i servizi per il pubblico dovrebbe corrispondere alla remuneratività presunta per il concessionario, ossia all’utilità complessiva che il bene è in grado di produrre e che lo stesso ente proprietario potrebbe trarre se lo gestisse direttamente.
Ne consegue, dunque, che la stima del complessivo valore dell’affidamento, in concessione, dei servizi integrati de quibus - affidati a seguito della medesima procedura di affidamento e con il medesimo atto concessorio - dovrebbe a rigore corrispondere alla somma dei due valori sopra evidenziati, nel rispetto del principio di ragionevolezza e del principio di proporzionalità di cui art. 2, co. 1, D.Lgs. 163/2006.
Merita rilevare, conclusivamente sul punto, che la fattispecie in esame consiste, per così dire, in una concessione “spuria”, in quanto la biglietteria non rappresenta un servizio sfruttabile economicamente in toto dal concessionario; dunque, nella fattispecie non può estendersi in via analogica quanto stabilito da questa Autorità in ordine alle concessioni “pure”, il cui valore stimato è tout court comprensivo di tutto il flusso dei corrispettivi pagati dagli utenti per i servizi in concessione (cfr. Deliberazione AVCP n. 9/2010).
E’ appena il caso di aggiungere che quanto precede vale naturalmente nei casi in cui la stazione appaltante si sia “autovincolata”, come nel caso di specie, all’applicazione delle cauzioni citando espressamente gli artt. 75 e 113 D.Lgs. 163/2006; trattandosi di servizi di cui all’Allegato IIB del Codice appalti, infatti, oltretutto affidati in concessione (art. 30 D.Lgs. 163/2006), non vi sarebbe l’obbligo di seguire le citate norme e si potrebbero, pertanto, stabilire in ipotesi cauzioni forfettarie (cfr. delibera AVCP n. 44/2012).
Per ciò che concerne la doglianza (4), l’Autorità è chiamata a pronunciarsi circa la possibilità di ammettere la “presentazione di offerta da parte di RTI costituendi … composti: 1) da un soggetto ammesso alla presentazione dell’offerta e 2) da un altro operatore economico” (v. pag. 6 delle Lettere di invito).
Al riguardo, si evidenzia che il riferimento normativo è rappresentato dall’art. 37, comma 12, D.Lgs. 163/2006, il quale recita: “in caso di procedure ristrette o negoziate … l’operatore economico invitato individualmente … ha la facoltà di presentare offerta o di trattare per sé o quale mandatario di operatori riuniti”.
Si deve rilevare come la richiamata disposizione rappresenti tutt’oggi una prescrizione normativa controversa, sulla quale le posizioni della dottrina e della giurisprudenza appaiono ancora di segno non sempre coerente, atteso che si discetta se i mandanti debbano anch’essi essere stati invitati o meno dalla stazione appaltante. Il dato testuale della predetta norma sembra, infatti, ammettere sia 1) l’ipotesi che venga presentata offerta da parte di un RTI la cui compagine sia costituita da una impresa mandataria già nota all’amministrazione, in quanto selezionata ed invitata singolarmente alla gara, e da una o più imprese mandanti che non abbiano rivolto istanza di partecipazione alla gara e quindi non già prequalificate, sia 2) l’ipotesi che al RTI, con l’operatore economico invitato individualmente, prendano parte imprese già sottoposte al vaglio della prequalificazione dalla stazione appaltante (c.d. “A.T.I. Sovrabbondanti”).
La prima ipotesi non appare condivisibile; in primis, perché comporta la sostanziale riapertura dei termini per partecipare alla gara per quelle imprese che non avevano manifestato nei termini alcun interesse a prendere parte alla procedura.
Considerato che il caso di specie è evidentemente riconducibile a tale ipotesi, e sulla scorta di quanto riferito dalla stessa stazione appaltante: “la previsione contenuta nella lettera di invito mira a consentire una più ampia partecipazione alle procedure di gara, anche alla luce del lasso di tempo intercorso tra l’indizione dei singoli procedimenti e la spedizione degli inviti a presentare offerta”, la censurata clausola dell’atto di “Sollecitazione”, sopra menzionata, non appare in linea con la ratio dell’art. 37, co. 12, D.Lgs. 163/2006.
Si ritiene, infatti, che la norma ammetta più opportunamente la seconda e più rigorosa ipotesi - RTI formato da soggetti tutti precedentemente prequalificati (cfr. CdS, Sez. VI, sentenza n. 588/2008) - in quanto “l’interesse pubblico è maggiormente tutelato se alla costituenda Ati con l’impresa invitata individualmente prendano parte anche imprese già sottoposte al vaglio della prequalificazione dall’amministrazione appaltante, poiché queste, proprio in quanto già scandagliate nei requisiti generali e speciali – sia pure nella forma dell’autocertificazione – appaiono offrire, di sicuro, garanzie maggiori rispetto ad un operatore sconosciuto alla stazione appaltante e cooptato successivamente dall’impresa prequalificata singolarmente” (T.A.R. Piemonte, Sez. I, n. 82/2009).
L’ammissibilità delle A.T.I. “sovrabbondanti” infatti (cfr., ex multis, Cds, Sez. III, n. 3402/2012; CdS, Sez, VI, n. 9577/2010; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III-quater, n. 826/2011) trova spazio in quanto “come osservato dalla giurisprudenza amministrativa, non è dunque il sovradimensionamento del raggruppamento in sé ad essere illecito, ma «l’inserirsi di tale sovradimensionamento in un contesto di elementi di fatto che denotano i fini illeciti perseguiti con uno strumento, quello dell’a.t.i., in sé lecito» (Cons. St. n. 5067/2012)” (par. 7.1.3., Determinazione Avcp n. 4/2012).
In relazione alla censura (5), si osserva che tra la documentazione necessaria per la predisposizione dell’Offerta vincolante è stato previsto sia il “Modello di piano economico-finanziario” (Allegato 5) sia il “Modello di Offerta economica” (Allegato 7) (cfr. art. 2 – “Documentazione, Chiarimenti e Riservatezza”, Lettera di Invito).
Si evidenzia, inoltre, che secondo la previsione dell’art. 7, “Busta 3 – Offerta Economica”, della Lettera di Invito, la stessa Busta 3 deve contenere, a pena di esclusione dalla gara, sia il Piano economico e finanziario, redatto in conformità all’Allegato 5, sia l’Offerta economica, redatta in conformità all’Allegato 7.
Non si ravvisa, pertanto, la necessità che lo specifico modulo previsto per l’Offerta economica debba effettuare un ridondante richiamo al Piano economico e finanziario, atteso che tale piano è richiesto ai concorrenti in uno specifico e distinto modello facente parte, in egual misura, della documentazione da produrre nella stessa busta nella quale deve essere inserita l’Offerta economica, concordandosi dunque sul punto con quanto riferito dalle Amministrazioni.
La censura (6) - concernente la c.d. “clausola sociale”, ossia la previsione che il concorrente “si impegna a garantire la continuità dei rapporti di lavoro in essere al momento del subentro, con esclusione di ulteriori periodi di prova, di tutto il personale già impiegato nei servizi oggetto della presente concessione in esecuzione di precedenti convenzioni e riportato nell’apposito Allegato l)” (v. art. 4 – “Busta N. 1 – Documentazione amministrativa”, lettera A), Dichiarazione di Offerta, dodicesimo punto della Lettera di Invito) - pone due ordini di questioni: il fatto che tale clausola sia stata inserita solo successivamente nella Lettera di Invito e non fosse già presente nella Sollecitazione ed il possibile contrasto della clausola medesima con il principio costituzionalmente garantito della libertà di iniziativa economica (cfr. art. 41, co. 1, Cost.) e con i principi fissati dall’art. 2, co. 1, del Codice dei Contratti Pubblici.
Si deve preliminarmente evidenziare che tale censura, sotto entrambi gli aspetti su menzionati, è stata oggetto di pronunce giurisprudenziali.
In particolare, il T.A.R. Lazio, nella sentenza n. 239/2012, citata, aveva ritenuto fondata la prima questione, con conseguente assorbimento della seconda, stabilendo che l’Amministrazione non avrebbe potuto introdurre tale clausola nella Lettera di Invito “senza prima procedere ad analoga integrazione del bando” (in proposito si veda anche il T.A.R. Campania n. 677/2012, cit.).
Il Consiglio di Stato, peraltro, con la richiamata sentenza n. 3764/2012 ha riformato la decisione del giudice di prime cure.
In particolare, in ordine alla questione di inserire la “clausola sociale” per la prima volta nella lettera di invito, il CdS non ha ravvisato “il prospettato contrasto fra sollecitazione (finalizzata alla prequalificazione delle imprese) e lettera di invito, dovendo qualificarsi la ricordata clausola sociale non come requisito di partecipazione, ma come modalità di esecuzione del servizio: modalità indicata in tempo utile – in via integrativa del bando – affinché le imprese potessero valutare, senza alcuna lesione della “par condicio”, la convenienza dell’offerta da presentare”.
Quanto alla seconda questione, il Consiglio di Stato ha ritenuto che il suddetto impegno prospettato nella Lettera di Invito potesse “costituire legittimo oggetto di una scelta discrezionale dell’Autorità concedente il servizio, circa le modalità di definizione del nuovo rapporto concessorio” ed ha, inoltre, ritenuto che “non appare ravvisabile, in rapporto a detta scelta, una compromissione della libertà dell’imprenditore, essendo previsto nel protocollo d’intesa [sopra menzionato nella parte in fatto, ndr] che l’organizzazione del lavoro fosse armonizzata “con le proposte e le esigenze dell’impresa subentrante”; ugualmente non ravvisabile appare un ipotetico vantaggio del precedente gestore, sia per il modesto numero di dipendenti, cui si assicurava la continuità del rapporto di lavoro, sia per l’assenza di qualsiasi vincolo, che trasformasse la presenza di tali dipendenti in un ostacolo per l’introduzione di nuovi moduli gestionali e di nuove soluzioni migliorative del servizio, innovative rispetto al periodo precedente” (in proposito, si veda anche CdS, Sez. V, decisione n. 3900/09).
Alla luce di quanto sopra evidenziato sulla questione in esame, ci si limita a rilevare che la “clausola sociale” è riconducibile al primo comma dell’art. 69, D.Lgs. 163/2006 (particolari condizioni di esecuzione del contratto) e dunque, per espressa prescrizione legislativa, deve essere precisata nel bando di gara e non nell’invito.
Nel caso di specie, infatti, l’invito è stato preceduto dalla Sollecitazione, “equiparabile a bando di gara” secondo il CdS n. 3764/2012, cit.; ne consegue, pertanto, che a stretto rigore la clausola sociale andava prevista nella Sollecitazione.
Focalizzando, nuovamente, l’attenzione sul secondo profilo della censura, si fa presente che l’aver inserito detta clausola sociale nella Dichiarazione di offerta (cfr. lettera A), art. 4, Lettera di Invito), richiesta dalla stazione appaltante tra la documentazione che la Busta n. 1, su menzionata, deve contenere a pena di esclusione, può facilmente indurre nell’equivoco di configurarla come criterio di ammissibilità dell’offerta, ossia come un requisito di ammissione; ipotesi questa più volte censurata dall’Autorità.
In proposito, si rileva che con il Parere AG 37/2011 l’Autorità ha già precisato che “le norme comunitarie e la disciplina di recepimento prevedono, dunque, espressamente che deve trattarsi di condizioni di esecuzione, con ciò chiarendo implicitamente che le stesse non possono costituire barriere all’ingresso, nella forma della richiesta di elementi di ammissibilità delle offerte” (si veda il Parere di Precontenzioso AVCP n. 44/2010).
Su quest’ultimo punto, si deve dunque osservare che la stazione appaltante avrebbe dovuto adottare una maggiore precisione nella stesura della lex specialis di gara, nel rispetto del principio di trasparenza e di favor partecipationis, affinché risultasse in modo chiaro ed inequivocabile la riferita natura di “condizione particolare” della clausola in esame.
Riguardo alla censura (7), l’Autorità è chiamata a valutare se i requisiti di partecipazione in contestazione siano restrittivi della platea dei potenziali concorrenti.
Innanzitutto, è il caso di rilevare che tutte le Amministrazioni non hanno fornito alcuna informazione o chiarimento sulla questione4 , rinviando a quanto sul punto dedotto dal MiBAC, ossia “la sostanziale inutilità del rilievo, dal momento che la eventuale deduzione di vizi di legittimità … avrebbe dovuto essere sollevata nell’immediatezza della pubblicazione della sollecitazione”.
Nel merito delle singole previsioni contestate, si ritiene che il requisito di partecipazione di essere esercente di 3 (in taluni casi 2) punti di ristoro “sotto un unico marchio” non rappresenti un elemento essenziale per soddisfare l’interesse perseguito nella fattispecie dall’Amministrazione (v. T.A.R. Calabria, Sez. II, ordinanza n. 37/2011, su identica controversia anche se relativa ad una gara non oggetto del presente procedimento).
Non pare sussista nel caso di specie un nesso imprescindibile tra l’affidabilità del futuro contraente e l’aver operato con un unico marchio. Il medesimo obiettivo potrebbe essere ugualmente soddisfatto anche da un’impresa che ha operato/operi, secondo le proprie politiche aziendali, in diversi luoghi culturali con marchi diversi. In altri termini, l’unitarietà del marchio non appare come elemento aziendale indispensabile per garantire “la continuità del soggetto concorrente, nonché l’unitarietà aziendale”, come sostenuto dalla Soprintendenza di Roma.
Il requisito in contestazione appare, dunque, come un requisito “ulteriore” non necessario ed adeguato agli interessi perseguiti dal committente, rispetto a quelli indicati dal legislatore per selezionare i migliori concorrenti dal punto di vista delle loro capacità tecnico-professionali (cfr. art. 42 D.Lgs. 163/2006), in contrasto con il principio di proporzionalità, di cui all’art. 2, co. 1, D.Lgs. 163/2006, cit.
Al riguardo, si ribadisce che rientra indubbiamente nella discrezionalità della stazione appaltante prevedere requisiti di partecipazione diversi, ulteriori e più restrittivi di quelli legali.
Ciononostante, tale grado di libertà trova un limite nel requisito della logicità e della ragionevolezza dei requisiti richiesti e della loro pertinenza e congruità rispetto all’oggetto dell’appalto ed all’interesse pubblico perseguito (cfr., ex multis, Parere AVCP n. 83/2010 e diversi precedenti del Consiglio di Stato, tra cui: CdS, Sez. V, sentenza n. 8914/2009; CdS, Sez. VI, sentenza n. 2304/2007; CdS, Sez. V, sentenza n. 6534/2008).
La discrezionalità delle Amministrazioni nel disegno della lex specialis, infatti, non deve mai condurre a determinazioni illogiche, arbitrarie, inutili o superflue, in quanto “il concreto esercizio del potere discrezionale deve essere funzionalmente coerente con il complesso degli interessi pubblici e privati coinvolti dal pubblico incanto e deve rispettare i principi del Codice dei contratti” (T.A.R. Lazio, Sez. II-quater, sentenza n. 32717/2010).
Il giudice amministrativo, adito sulla questione de qua, ha pronunciato l’annullamento della Sollecitazione inerente alla procedura ristretta del servizio di ristoro della Soprintendenza di Roma (v. T.A.R. Lazio, Sez. II-quater, sentenza n. 9073/2012; T.A.R. Lazio, Sez. II-quater, sentenza n. 32946/2010; T.A.R. Lazio n. 32717/2010, cit.).
Ha inoltre precisato che, nella fattispecie, la certezza dell’adempimento degli obblighi contrattuali da parte dell’aggiudicatario non è garantita tanto dall’erogazione del servizio di ristoro sotto un marchio unico, bensì potrebbe esserlo, a titolo esemplificativo, grazie ad una ““clausola negoziale” dell’avviso, vale a dire un’obbligazione contrattuale per il futuro aggiudicatario del contratto di concessione”. In altri termini, dovrebbe più propriamente configurarsi come una condizione particolare per l’esecuzione del contratto.
Conclusivamente, si ritiene che la clausola contestata precluda ingiustamente la partecipazione alla gara di soggetti “il cui fatturato pure corrisponderebbe ai limiti fissati” (T.A.R. Lazio, n. 32717/2010, cit.).
Analoghe considerazioni possono valere riguardo agli altri due requisiti soggettivi di partecipazione contestati, ossia il requisito di essere esercente di tre punti di ristoro “in maniera continuativa”, unitamente al requisito di aver ottenuto un “fatturato lordo complessivo per ciascun punto di ristoro non inferiore a …”, in quanto i livelli di fatturato indicati nei vari casi in esame si sarebbero potuti, in ipotesi, raggiungere anche in maniera non continuativa.
In egual misura, anche la clausola che prende in considerazione, tra i servizi svolti nel triennio, solo quelli ancora in corso al momento della presentazione della domanda sembra rappresentare una variabile del procedimento che comporta la suddetta “impossibilità assoluta di partecipare alla gara di soggetti il cui fatturato pure corrisponderebbe ai limiti fissati” (cfr. T.A.R. Lazio, sopra cit. e T.A.R. Calabria, Sez. II, ordinanza n. 37/2011, cit.).
Quanto alla censura (8), in merito alla mancata specificazione del valore stimato di alcuni servizi in affidamento, si deve sottolineare che tale scelta è in contrasto con una norma di rango primario, atteso che secondo le prescrizioni del primo comma dell’art. 29 del D.Lgs. 163/2006 la relativa valutazione compete alle stazioni appaltanti. In proposito, si sottolinea ancora come il legislatore abbia stabilito che “la stima deve essere valida al momento dell’invio del bando di gara”, nella fattispecie rappresentato dalla Sollecitazione.
Considerato, inoltre, che sul tema oggetto di contestazione l’Autorità è più volte intervenuta, non si può che ribadire quanto già chiarito sull’importanza di garantire condizioni di trasparenza, parità di trattamento e non discriminazione, che si traducono innanzitutto nell’informare correttamente il mercato di riferimento sulle complessive e reali condizioni di gara (cfr. Deliberazioni AVCP n. 73 del 2012 e del 2011 ed atti ivi citati), al fine di evitare di porre le imprese partecipanti alla gara in una situazione di incertezza nella formulazione della propria offerta (v. Deliberazione AVCP n. 61/2012).
Preme rilevare, inoltre, come l’esatta determinazione del valore complessivo dell’affidamento assuma un particolare rilievo, non solo ai fini della conformità al principio di pubblicità (qui rispettato, attesa la pubblicazione delle Sollecitazioni in G.U.U.E. e G.U.RI.) ed all’art. 28 D.Lgs. 163/2006 sugli importi delle soglie dei contratti pubblici di rilevanza comunitaria (l’importo è comunque già ampiamente superiore alle soglie stabilite nel richiamato articolo) ma, anche al fine della congruità dei requisiti speciali di partecipazione, dell’importo della cauzione e del contributo dovuto all’Autorità nonché, dal punto di vista dell’offerente, della possibilità di formulare un’offerta informata, seria e corretta.
È di tutta evidenza, dunque, l’importanza di stimare tutti i servizi che vanno a comporre il complessivo affidamento in concessione e come non ci si possa sottrarre a tale obbligo, ex art. 29, co. 1, D.Lgs. 163/2012, solo perché il servizio non è attualmente presente nel sito culturale o in assenza di sufficienti elementi di conoscenza, oppure perché non risulta disponibile il fatturato storico, per cui “non si é voluta evidenziare la sua eventuale incidenza nelle valutazioni economico-gestionali dei siti in quanto il concorrente, vista la natura di tale attività, pur dovendo garantire la sua elevata qualità, avrebbe potuto considerarlo non esclusivamente una fonte di ricavi quanto piuttosto uno strumento di fidelizzazione di pubblico”, o, infine, in quanto non stimabile “non essendo attualmente in essere in nessuna delle sedi di servizi oggetto dell’appalto [per cui, ndr] non si è proceduto ad una previsione in quanto avrebbe potuto non avere riscontri concreti e si è preferito valutare, in seguito, i dati certi del trend del servizio in esame” (nota della Direzione Regionale del Lazio, cit.).
Alla luce di tutto quanto precede, non si può, dunque, concordare sulla riferita opportunità di “non procedere alla stima del valore economico generabile dai servizi, affidando agli stessi il ruolo di fornire, in un’ottica di sperimentazione, i primi dati quali quantitativi dei livelli di servizio generabili nei suddetti luoghi di cultura”.
È appena il caso di sottolineare, infine, che dallo stesso tenore testuale emerge come il valore dell’affidamento non debba riferirsi pedissequamente al valore storico, ma debba correttamente essere inteso quale valore stimato e, del resto, il processo di stima consiste nell’attribuire un valore plausibile ad una grandezza che in quel preciso istante temporale non risulti misurabile esattamente.
In relazione alla censura (9) - inerente ai requisiti di partecipazione, indicati nella Sollecitazione per l’affidamento dei servizi di “libreria”, di aver svolto i servizi oggetto della procedura di gara “in maniera continuativa”, venduti “con un unico marchio” e di “essere [ancora, ndr] esercente” “al momento della presentazione della domanda di partecipazione” di tre punti vendita - si ritiene che possano valere le medesime considerazioni sopra rappresentate circa la censura (7).
In relazione alla censura (10), sulla estensione della durata delle concessioni ad otto anni, da parte della Direzione Regionale del Lazio, rispetto alla durata media indicata dal MiBAC di sei anni, ci si limita ad osservare che la motivazione riferita dalla stessa Direzione, sopra evidenziata, concernente gli “sforzi richiesti ai due nuovi concessionari - in considerazione alla necessità di aprire al pubblico per la prima volta il Santuario, di gestire il centro dì orientamento presso La Rocca anch’esso di nuova installazione, di aprire sia il ristorante nel Santuario sia i due chioschi a villa Adriana”, non risulta da alcuna documentazione probante risalente all’epoca dell’indizione della gara.
Riguardo alla censura (11), anche alla luce del mancato riscontro della competente Amministrazione circa il contestato requisito soggettivo di aver svolto i servizi di accoglienza in più di 5/6 siti /istituti, si ritiene possano valere le considerazioni già svolte in ordine alla doglianza (7).
Per ciò che concerne la censura (12), si evidenzia che solo la Direzione Regionale del Lazio ha dato riscontro sul punto, producendo una relazione esplicativa con la quale ha fatto presente più che altro la generale importanza del processo d’integrazione “orizzontale” (affidamento della gestione di un servizio in più siti) e “verticale” (affidamento della gestione di più servizi in un unico sito) nell’ambito dell’affidamento dei servizi museali in oggetto.
Tuttavia, si deve osservare che dalla documentazione agli atti non si può evincere in modo univoco e chiaro la ricorrenza di una congrua motivazione circa il processo di integrazione di tutti gli eterogenei servizi al pubblico tranne proprio il servizio di ristoro.
Si deve dunque rilevare che tale scelta non sembra conforme ai dettami delle Linee Guida ministeriali, che in proposito richiedono alle Amministrazioni periferiche di produrre documentazione dalla quale emergano le valutazioni compiute per giungere a tale decisione, atteso che tale scelta deve essere sempre orientata “al canone economico-finanziario della redditività dell’affidamento nonché al criterio, di natura strategica, della qualità dei servizi da realizzare nei luoghi della cultura” (pag. 5 Aggiornamenti ed Integrazioni alle Linee Guida, cit.).
Infine, riguardo alla questione (13) si rinvia a quanto evidenziato nella narrazione dei fatti.
Alla luce delle considerazioni che precedono,
il Consiglio
Il Consigliere relatore: Giuseppe Borgia
Il Presidente: Sergio Santoro
Depositato presso la Segreteria del Consiglio in data: 12 marzo 2013
Il Segretario: Maria Esposito
1 - “Al riguardo si ricorda la volontà del legislatore di aprire al mercato l’attività di valorizzazione dei beni culturali sancendo, al terzo comma dell’art. 111 del Codice dei Beni Culturali, che tale attività “si conformi ai principi di libertà di partecipazione, parità di trattamento, economicità e trasparenza della gestione” (dunque, ai principi che informano il “Codice dei Contratti Pubblici”). In particolare, si è disposto che la gestione indiretta può essere attuata mediante concessione a terzi, tramite “procedure di evidenza pubblica, sulla base della valutazione comparativa di specifici progetti” (v. art. 115 - “Forme di gestione” - co. 3, Codice dei Beni Culturali).
Anche nello specifico settore della gestione dei “servizi per il pubblico” si è sancita la medesima politica di apertura al mercato, come risulta dal rinvio al suddetto art. 115, operato dal quarto comma del predetto art. 117: “la gestione dei servizi medesimi è attuata nelle forme previste dall’articolo 115”” (Deliberazione AVCP n. 13/2010. Si veda anche Deliberazione AVCP n. 67/2011).
2 - Al riguardo, si veda la recente Determinazione AVCP n. 7/2011 e giurisprudenza ivi citata.
3 - “In questa importante pronuncia si è infatti ribadito che, nell’ambito della gestione dei beni culturali, i servizi aggiuntivi devono essere affidati in concessione, mentre i servizi strumentali in appalto. La Corte ha spiegato il diverso regime giuridico applicabile alle due fattispecie con il fatto che “l'amministrazione che affida i servizi aggiuntivi non corrisponde alcun prezzo all’affidatario per l'erogazione mentre l’affidatario deve pagare un canone di concessione”, accollandosi, dunque, il rischio dell’attività”.
Diversamente, nel servizio strumentale di biglietteria (caso trattato dall’ordinanza citata) il costo, “apparentemente finanziato direttamente dagli utenti”, in realtà è posto “a carico delle risorse dell'amministrazione, poiché il prezzo del biglietto, che dovrebbe essere riversato direttamente e per intero allo stesso committente pubblico, viene in parte trattenuto dal gestore del servizio” (c.d. aggio)” (Deliberazione AVCP n. 13/2010); cfr. D.M. 11.12.1997 n. 507, il quale stabilisce che il gestore del servizio di biglietteria medesimo trattenga per sé una parte non superiore al 30% dell’incasso.
4 - Solo la Soprintendenza di Roma, come evidenziato nella parte in fatto, ha fatto pervenire osservazioni al riguardo.