AG 28/14
21 maggio 2014
Oggetto: Rinnovo del contratto di gestione del servizio di produzione pasti del Comune di Bologna affidato a società mista a seguito di gara a “doppio oggetto”.
Con nota acquisita al prot. gen. AVCP n. 45576 del 14 aprile 2014, codesto Comune ha sottoposto all’Autorità un quesito concernente la possibilità di rinnovare il contratto di gestione del servizio di produzione pasti affidato ad una società mista (51% del Comune e 49% del socio privato), il cui socio privato è stato selezionato a seguito di una gara ad evidenza pubblica avente ad oggetto anche la selezione del socio operativo, in presenza di una clausola dello schema di contratto di servizio (facente parte della documentazione di gara) che, fissata la durata del contratto in 10 anni, prevede che “in vista della scadenza contrattuale l’amministrazione, se lo riterrà conveniente in base alle proprie valutazioni tecnico-economiche, potrà richiedere il rinnovo del contratto ai medesimi patti e condizioni fino ad un massimo di complessivi anni 30 (trenta)”.
In particolare, è stato rappresentato che il Consiglio Comunale, con Deliberazione P.G. n. 67171/2003, ha disposto di adottare il modello gestionale della società mista, stabilendo quale linea d’indirizzo da seguire nell’adozione dei conseguenti atti esecutivi che “l’affidamento della gestione avrà la durata di anni 30 e sarà regolata da un contratto di servizio, sottoscritto dal Direttore del settore Comunale competente, della durata di dieci anni, rinnovabile fino al termine dell’affidamento. Al termine della prima scadenza contrattuale potranno ridefinire consensualmente le condizioni contrattuali”.
Con bando inviato alla GUCE per la pubblicazione in data 29 maggio 2003, il Comune ha indetto una procedura aperta per la selezione del socio privato della costituenda società mista cui affidare la gestione del servizio di produzione pasti del Comune di Bologna sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Nello stesso anno, il Comune ha stipulato con la società mista successivamente costituita denominata Seribo un contratto di servizio recante la clausola previamente richiamata (“Il contratto avrà la durata di 10 anni (…) l’amministrazione, se lo riterrà conveniente in base alle proprie valutazioni tecnico-economiche, potrà richiedere il rinnovo del contratto ai medesimi patti e condizioni fino ad un massimo di complessivi anni 30”).
Alla scadenza del contratto, già peraltro oggetto di proroga in applicazione di precipua clausola contrattuale, il Comune ha avviato le valutazioni circa la possibilità di rinnovo del contratto in esame riscontrando una serie di criticità riguardanti, in particolare, la legittimità della stessa richiamata clausola contrattuale a seguito dell’introduzione del divieto di rinnovo dei contratti ad opera della l. n. 62/2005 (come evidenziato nel parere reso dall’Avvocatura del Comune).
A fronte della netta presa di posizione del socio privato che ritiene che, nella fattispecie in esame, non si possa parlare di un ordinario rinnovo di un contratto di appalto quanto piuttosto di un contratto di servizio che regola i primi dieci anni di un affidamento ab origine trentennale di un servizio pubblico locale (servizio produzione pasti) e che, dunque, rifiuta di cedere al Comune la propria quota societaria di minoranza, il Comune di Bologna intende avere dall’Autorità un parere interpretativo circa “la possibilità di rinnovare un servizio regolante le modalità di esecuzione di un servizio pubblico locale, in presenza dei presupposti e delle condizioni come sopra rappresentate, stanti le strutturali differenze rispetto allo svolgimento di un servizio mediante contratto di appalto”.
Nell’Adunanza del 21 maggio 2014, il Consiglio dell’Autorità ha approvato le seguenti determinazioni.
La società mista è una delle tipologie di contratti di partenariato pubblico-privato (PPP) di cui all’art. 3, comma 15-ter, d.lgs. n. 163/2006 (contratti aventi per oggetto la progettazione, la costruzione, la gestione o la manutenzione di un’opera pubblica o di pubblica utilità oppure la fornitura di un servizio, con finanziamento totale o parziale a carico del privato e allocazione dei rischi ai sensi delle prescrizioni e degli indirizzi comunitari vigenti).
Prima ancora che fosse annoverata dal Codice dei contratti tra i PPP, la società mista era già disciplinata a livello normativo dall’art. 113, comma 5, del d.lgs. n. 267/2000, tra le modalità di affidamento della gestione di servizi pubblici locali.
In entrambi i casi – giacché, come ha ricordato la Corte Costituzionale nella sentenza n. 24/2011 (che ha sancito l’ammissibilità del quesito referendario sull’art. 23 bis d.l. 112/2008) all'affidamento della gestione di servizi pubblici di rilevanza economica si applica la normativa comunitaria relativa alle regole concorrenziali minime in tema di gara ad evidenza pubblica – si è posto il problema se la scelta del socio privato tramite procedura ad evidenza pubblica, ovvero il rispetto del principio di concorrenza nella fase costitutiva della società, possa considerarsi sufficiente garanzia di confronto competitivo, o se, invece, sia necessario l’espletamento di una ulteriore procedura per l’affidamento del servizio.
Come è noto, a seguito del parere n. 456/2007 del Consiglio di Stato, appare consolidato l’orientamento secondo cui la gara effettuata per la scelta iniziale del socio privato può essere considerata sufficiente a condizione che le attività operative che si intendono affidare alla società mista siano oggetto della medesima gara.
Tale conclusione si muove lungo la stessa linea interpretativa seguita dalla Commissione europea nella Comunicazione del 5 febbraio 2008 sull’applicazione del diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni ai partenariati pubblico-privati istituzionalizzati (PPPI), secondo la quale “Per costituire un PPPI in modo conforme ai principi del diritto comunitario evitando nel contempo i problemi connessi ad una duplice procedura si può procedere nel modo seguente: il partner privato è selezionato nell'ambito di una procedura trasparente e concorrenziale, che ha per oggetti sia l'appalto pubblico o la concessione (18) da aggiudicare all'entità a capitale misto, sia il contributo operativo del partner privato all'esecuzione di tali prestazioni e/o il suo contributo amministrativo alla gestione dell'entità a capitale misto. La selezione del partner privato è accompagnata dalla costituzione di PPPI e dall'aggiudicazione dell'appalto pubblico o della concessione all'entità a capitale misto”.
Detta impostazione è stata recepita dal legislatore nazionale che, con il d.l. 25 settembre 2009 n. 135, convertito con modifiche dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, ha sostituito il comma 2 dell’art. 23-bis del d.l. n. 122/2008 annoverando espressamente tra le modalità ordinarie di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali l’affidamento “a società a partecipazione mista pubblica e privata, a condizione che la selezione del socio avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a), le quali abbiano ad oggetto al tempo stesso, la qualità di socio e l’attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio e che al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40 per cento” e, quindi, qualificandola formalmente quale procedimento ad evidenza pubblica.
Da quanto sopra emerge con chiarezza che l’affidamento “diretto” del servizio alla società mista, ivi compresa la società mista affidataria di servizi pubblici locali, è conforme ai principi comunitari di concorrenza e par condicio nei limiti in cui il servizio stesso è fatto oggetto di confronto concorrenziale nella procedura ad evidenza pubblica per la selezione del socio privato, ovvero nei limiti in cui è “messo a gara”.
“Ne discende che la società mista opera nei limiti dell’affidamento iniziale e non può ottenere senza gara ulteriori missioni che non siano già previste nel bando originario” (Consiglio di Stato, sez. V, 13 febbraio 2009, n. 824).
Venendo al caso di specie, il bando pubblicato sulla GUCE non esplicita la durata dell’affidamento mentre l’art. 2 dello schema di Contratto relativo alla gestione del Servizio Produzione Pasti – che ha più propriamente il contenuto di un disciplinare di gara dettando disposizioni in ordine alle modalità di redazione dell’offerta – fissa la durata del contratto in dieci anni, con possibilità di rinnovo fino ad un massimo complessivo di anni 30.
Alla luce di quanto sin qui illustrato, ciò che risulta essere stato offerto al confronto concorrenziale, unitamente al ruolo di socio privato di minoranza, è l’affidamento dell’attività di produzione pasti del Comune di Bologna per 10 anni e non la gestione trentennale del servizio.
Come evidenziato dal Consiglio di Stato, ogni affidamento ulteriore rispetto a quanto previsto nell’originaria procedura ad evidenza pubblica deve dunque essere oggetto di una nuova procedura di gara.
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Per quanto concerne la possibilità di avvalersi della clausola che prevede la facoltà del Comune di rinnovare il contratto, si formulano le seguenti osservazioni.
Il rinnovo dei contratti pubblici - che è comunque da intendersi come manifestazione di un nuovo consenso sullo stesso schema negoziale del contratto precedente senza possibilità di apportare alcuna modifica alle condizioni contrattuali – a seguito dell’abrogazione da parte dell’art. 23 della l. n. 62/2005 dell’art. 6, comma 2, ultimo periodo, della l. n. 537/1993 (che ammetteva, a certe condizioni, la possibilità di rinnovare i contratti tre mesi prima della loro scadenza) è stato ritenuto dalla giurisprudenza prevalente vietato, senza alcuna distinzione tra rinnovo tacito ed espresso. Ciò in considerazione del fatto che la succitata modifica introdotta dalla l. n. 62/2005, finalizzata all’archiviazione di una procedura di infrazione comunitaria (n. 2003/2110) avente ad oggetto proprio la previsione normativa nazionale della facoltà di procedere al rinnovo espresso dei contratti delle pubbliche amministrazioni, ritenuta incompatibile con i principi di libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi cristallizzati negli artt. 43 e 49 del Trattato CE, va considerata quale canone ermeneutico alla stregua del quale risulta inammissibile qualsiasi disposizione che si risolva, di fatto, nell’elusione del divieto di rinnovazione dei contratti pubblici (Consiglio di Stato, Sez. IV, 31 ottobre 2006 n. 6458). Detto divieto generalizzato è stato ritenuto produttivo di effetti anche nei confronti di preesistenti clausole di bando o di contratto recanti la facoltà di rinnovo “posto che la natura imperativa ed inderogabile della sopravvenuta disposizione legislativa che introduce un divieto generalizzato di rinnovazione dei contratti delle pubbliche amministrazioni implica la sopravvenuta inefficacia delle previsioni, amministrative e contrattuali, configgenti con il nuovo e vincolante principio, che non tollera la sopravvivenza dell’efficacia di difformi clausole negoziali (attesa la natura indisponibile degli interessi in esse coinvolti)” (Consiglio di Stato, cit.).
Da quanto sopra emerge che sono da ritenersi non conformi al diritto comunitario le clausole contrattuale recanti la previsione espressa di rinnovo contrattuale (Deliberazione n. 69 del 6 luglio 2011), a meno che non siano riconducibili nell’ambito di applicazione dell’art. 57, comma 5, lett. b) del Codice, (che consente la procedura negoziata senza bando per l’acquisizione di “nuovi servizi consistenti nella ripetizione di servizi analoghi già affidati all'operatore economico aggiudicatario del contratto iniziale dalla medesima stazione appaltante, a condizione che tali servizi siano conformi a un progetto di base e che tale progetto sia stato oggetto di un primo contratto aggiudicato secondo una procedura aperta o ristretta; in questa ipotesi la possibilità del ricorso alla procedura negoziata senza bando è consentita solo nei tre anni successivi alla stipulazione del contratto iniziale e deve essere indicata nel bando del contratto originario; l'importo complessivo stimato dei servizi successivi è computato per la determinazione del valore globale del contratto, ai fini delle soglie di cui all'articolo 28”.) A tale riguardo deve tuttavia rammentarsi che “detta disposizione è norma di stretta interpretazione, la cui applicazione è ammessa nei soli casi tassativi individuati dal legislatore (cfr. TAR Lazio, Roma, n. 4924/2008), affinché tale strumento giuridico non si risolva in una modalità per aggirare il condiviso divieto di rinnovo (cfr. C.d.S, Sez. V, n. 2882/2009; TAR Lazio, Roma, nn. 3546/2008 e 4924/2008), trattandosi di procedura di carattere eccezionale, in deroga all’ordinario obbligo dell’Amministrazione di individuare il privato contraente attraverso il confronto concorrenziale (cfr. TAR, Piemonte, n. 803/2011)” (Delibera n.22/2013).
Tale conclusione non può ritenersi inficiata dal recente arresto del Consiglio di Stato (5 luglio 2013, n. 3580), che ha ritenuto ammissibile il rinnovo espresso qualora la facoltà di rinnovo, alle medesime condizioni e per un tempo predeterminato e limitato, sia ab origine prevista negli atti di gara e venga esercitata in modo espresso e con adeguata motivazione, giacché argomento insuperabile rimane la considerazione che una generalizzata facoltà di rinnovo espresso vanifica il tentativo del legislatore comunitario di ricondurre la possibilità di reiterare l’affidamento di servizi analoghi allo stesso operatore economico ad ipotesi tipiche tassativamente indicate, depotenziando fortemente il principio della necessità dell’evidenza pubblica.
Quanto considerato esprime un principio generale attuativo di un vincolo comunitario discendente dal Trattato CE e dunque operante per la generalità dei contratti pubblici, ivi incluse le concessioni di servizi (Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 24 novembre 2011, n. 6194; sez. V, ordinanza 24 aprile 2013 n. 1469).
Alla luce di quanto sopra, si ritiene che la clausola di rinnovo di cui all’art. 2 dello schema di contratto, che peraltro consente un “doppio” rinnovo di un contratto avente già originariamente una durata considerevole, contrasti con i principi di libera concorrenza, parità di trattamento e non discriminazione che impongono il reperimento del contraente secondo le regole dell’evidenza pubblica, salvo le ipotesi tassativamente indicate dal legislatore.
Lorenza Ponzone