Oggetto: Accordo stipulato tra RFI ed ISPRA in data 16 gennaio 2018 - affidamento a terzi di servizi di ricerca e sviluppo - applicazione dell’art. 158 del d.lgs. 50/2016 - richiesta di parere.
AG 7/2018/AP
Il Consiglio
Visto il decreto legislativo n. 50/2016 e s.m.i.;
Visto l’appunto dell’Ufficio Precontenzioso e Pareri;
Considerato in fatto
Con nota pervenuta in data 17 maggio 2018 ed acquisita al prot. n. 42182 e successiva integrazione pervenuta in data 11 giugno 2018, acquisita al prot. n. 49987, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale – ISPRA – ha sottoposto all’attenzione dell’Autorità una richiesta di parere in relazione alla possibilità di derogare alla disciplina dettata dal d.lgs. 50/2016 ai fini dell’affidamento delle attività di ricerca e sviluppo previste nell’Accordo stipulato con RFI in data 16 gennaio 2018 in materia di dissesto idrogeologico.
Più in dettaglio, ISPRA riferisce che l’obiettivo perseguito con l’Accordo sopra indicato è il miglioramento e l’aggiornamento del «quadro conoscitivo attuale sulle frane e sulle aree a pericolosità da frana lungo la rete ferroviaria italiana gestita da RFI che ha, tra i suoi compiti principali, quello di garantire la sicurezza della circolazione ferroviaria e di mantenere la continua efficienza e utilizzabilità della rete». Si tratta, quindi, di finalità di interesse pubblico, coerenti anche con i compiti istituzionali di ISPRA in materia di dissesto idrogeologico.
Per effetto di tale Accordo RFI riconosce ad ISPRA un corrispettivo che sarà utilizzato anche per l’acquisizione di servizi di ricerca e sviluppo sperimentale, necessari per la realizzazione delle attività demandate all’Istituto stesso.
L’istante evidenzia al riguardo che l’Accordo, della durata di sei anni complessivi, prevede due fasi di intervento:
In relazione a quanto sopra, l’istante evidenzia che le attività di ricerca e sviluppo ricomprese nella Fase A, saranno affidate da ISPRA, per ciascuna tratta ferroviaria, a soggetti altamente qualificati, in possesso di elevata specializzazione e comprovata esperienza nell’identificazione e mappatura delle frane, nello sviluppo di modelli di suscettibilità da frana e nell’interpretazione/confronto di dati interferometrici satellitari.
Al fine di valutare l’esistenza di società operanti sul mercato e con esperienza nelle descritte attività, l’ISPRA ha effettuato una ricognizione dei curricula/portfolio di società di geologia/ingegneria pubblicati sul web. All’esito di tale ricognizione, l’istante avrebbe accertato che non esistono società che abbiano maturato una adeguata esperienza o competenza in tutti i predetti settori.
Tuttavia, tali attività potrebbero essere svolte da Università/Centri di Ricerca altamente qualificati ed in possesso di elevata specializzazione e comprovata esperienza nel settore.
In relazione a quanto sopra ISPRA chiede, quindi, all’Autorità di esprimere avviso in relazione all’applicazione dell’art. 158 del d.lgs. 50/2016 alle attività di ricerca sperimentale ed applicata ricomprese nella Fase A dell’Accordo, sulla base delle seguenti considerazioni:
Alla luce di quanto sopra, ISPRA chiede un parere in ordine alla sussistenza di una deroga alla disciplina in materia di contratti pubblici ai fini dell’affidamento dei servizi in parola in favore di istituti universitari o centri di ricerca.
Ove ritenuta sussistente tale deroga, l’istante rappresenta di voler comunque procedere all’affidamento delle attività sopra indicate mediante selezione dell’affidatario, preceduta da invito di almeno cinque concorrenti (soggetti pubblici dotati da un elevato grado di specializzazione ed esperienza nei servizi in parola) e previa pubblicazione sul sito web dell’Istituto di un “Avviso di manifestazione di interesse” contenente l’indicazione dell’oggetto, dell’importo dell’affidamento, dei requisiti richiesti per la partecipazione, i tempi di trasmissione dell’offerta tecnico-economica, i criteri di selezione dei soggetti invitati in numero massimo di cinque. La valutazione delle offerte sarebbe affidata ad una Commissione tecnica; il RUP trasmetterebbe tutta la documentazione al Direttore Generale ai fini della stipula del contratto di ricerca.
Si chiede, quindi, all’Autorità di esprimere avviso su quanto sopra rappresentato.
Ritenuto in diritto
Al fine di rendere il richiesto parere, sembra opportuno esaminare la fattispecie sotto un duplice profilo. In primo luogo, sembra necessario valutare i contenuti dell’Accordo stipulato in data 16 gennaio 2018 tra RFI e ISPRA, al fine di verificare se ricorrano le condizioni previste dall’art. 5, comma 6, del Codice per la conclusione degli accordi di partenariato pubblico-pubblico; in secondo luogo, occorre stabilire se sussistono, nella fattispecie, le condizioni previste nell’art. 158 del Codice, ai fini dell’applicazione della disciplina ivi recata per l’affidamenti a terzi dei servizi previsti nel suindicato Accordo, secondo quanto richiesto da ISPRA.
Passando quindi ad analizzare i contenuti dell’Accordo del 16 gennaio 2018 (per gli aspetti che rilevano in questa sede), può osservarsi quanto segue:
Dall’esame dell’Accordo emerge quindi, in primo luogo, sotto il profilo soggettivo, che lo stesso è stato stipulato tra due amministrazioni aggiudicatrici [RFI (partecipata al 100% da Ferrovie dello Stato s.p.a., a sua volta interamente partecipata dal MEF e qualificabile come organismo di diritto pubblico ex art. 3, Codice, come evidenziato nel parere sulla normativa AG28/2010 del 15 marzo 2011) ed ISPRA (ente pubblico di ricerca).
Sotto il profilo oggettivo, lo stesso riguardalo svolgimento di attività di ricerca e sviluppo, come definite nell’istanza di parere, ossia il miglioramento e l’aggiornamento del “quadro conoscitivo attuale sulle frane e sulle aree a pericolosità da frana lungo la rete ferroviaria italiana gestita da RFI”. Dette attività sono demandate ad ISPRA [la quale potrà avvalersi di terzi per lo svolgimento delle stesse] e quantificate in euro 4.868.306,00, quale somma corrispondente al pagamento già effettuato da RFI nel 2005 in favore dell’ex APAT, in forza della Convenzione del 2005. Si dispone, infine, che quanto elaborato in esecuzione dell’Accordo è di esclusiva proprietà di RFI (è prevista la possibilità per ISPRA di utilizzare i dati ottenuti per fini istituzionali e previa comunicazione a RFI, nei limiti di cui all’art. 14 dell’Accordo).
Al fine di stabilire se un simile Accordo possa ritenersi conforme alle disposizioni dell’art. 5, comma 6, del d.lgs. 50/2016, si osserva preliminarmente che ai sensi di tale norma, la disciplina dettata dal Codice non trova applicazione agli accordi conclusi “esclusivamente tra due o più amministrazioni aggiudicatrici” quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni:
Come osservato dall’Autorità (parere AG14/2017/AP) la norma sopra richiamata, dettata in recepimento dell’art. 1, paragrafo 6, della direttiva 24/2014/UE, indica in maniera tassativa i limiti entro i quali detti accordi possono essere conclusi, affinché possa ritenersi legittima l’esenzione dal Codice; la norma disciplina comunque un istituto già previsto in linea generale dall’art. 15 della l. n.241/1990, ai sensi del quale «anche al di fuori delle ipotesi previste dall’articolo 14, le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune».
In relazione all’istituto in esame l’Autorità ha espresso avviso in diverse pronunce (in particolare det.n. 7/2010), osservando che il citato art. 15 prefigura un modello convenzionale attraverso il quale le pubbliche amministrazioni coordinano l’esercizio di funzioni proprie in vista del conseguimento di un risultato comune in modo complementare e sinergico, ossia in forma di reciproca collaborazione, in maniera gratuita e nell’obiettivo comune di fornire servizi indistintamente a favore della collettività. L’Autorità ha quindi precisato i limiti del ricorso a tali accordi tra PA, chiarendo che:
In coerenza con l’avviso giurisprudenziale in materia (Corte di Giustizia UE, ord.16 maggio 2013, causa C-564/11; sent. 19 dicembre 2012, causa C-159/11; Consiglio di Stato, sent. n. 3130 del 23/06/2014 e n. 3849 del 15 luglio 2013), l’Autorità ha ulteriormente osservato sull’argomento (pareri sulla normativa AG/07/15/AP, AG34/16/AP e Del. n. 216/2016, riferiti all’assetto normativo recato da d.lgs. 163/2006), che le direttive sugli appalti devono essere applicate sulla base di un approccio funzionale, e cioè in modo coerente con gli obiettivi ad esse sottesi, i quali consistono nell’imporre alle amministrazioni il rispetto della concorrenza laddove debba affidare attività economicamente contendibili. Conseguentemente, gli accordi tra PA sono necessariamente quelli aventi la finalità di disciplinare attività non deducibili in contratti di diritto privato, perché non inquadrabili in alcuna delle categorie di prestazioni elencate nell’allegato II-A alla direttiva appalti 2004/18/CE; il contenuto e la funzione elettiva di tali accordi è quella di regolare le rispettive attività funzionali, purché di nessuna di queste possa appropriarsi uno degli enti stipulanti. Pertanto, qualora un’amministrazione si ponga rispetto all’accordo come un operatore economico, prestatore di servizi e verso un corrispettivo, anche non implicante il riconoscimento di un utile economico ma solo il rimborso dei costi, non è possibile parlare di una cooperazione tra enti pubblici per il perseguimento di funzioni di servizio pubblico comune, ma di uno scambio tra i medesimi. Negli accordi tra amministrazioni pubbliche, pertanto, assume rilievo la posizione di equiordinazione tra le stesse, al fine di coordinare i rispettivi ambiti di intervento su oggetti di interesse comune e non di comporre un conflitto di interessi di carattere patrimoniale; occorre, in sostanza, una “sinergica convergenza” su attività di interesse comune, pur nella diversità del fine pubblico perseguito da ciascuna amministrazione. Tale convergenza difetta nel caso in cui il contratto sia inquadrabile nel paradigma generale previsto dall’art. 1321 cod. civ., essendo caratterizzato dalla patrimonialità del rapporto giuridico con esso costituito e disciplinato, a causa della riconducibilità delle prestazioni demandate all’ente di servizi che - pur rientranti in astratto nella sua istituzionale funzione - sono annoverabili tra le attività di cui all’allegato II-A alla direttiva 2004/18 e sono destinate ad essere fatte proprie dall’Amministrazione affidante, in quanto strumentali rispetto ai suoi compiti, con acquisizione di una utilitas in via diretta delle stesse.
Sulla base delle considerazioni che precedono è stato, quindi, osservato che una convenzione tra PA, rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 15, l. 241/1990 ove regoli la realizzazione di interessi pubblici effettivamente comuni alle parti, con una reale divisione di compiti e responsabilità, in assenza di remunerazione (ad eccezione del ristoro delle spese sostenute) e senza interferire con gli interessi salvaguardati dalla normativa sugli appalti pubblici.
Dall’avviso dell’Autorità sopra riportato emerge dunque che l’Accordo del 16.1.2018 stipulato tra RFI e ISPRA, come sopra illustrato, non presenta i caratteri tipici del partenariato pubblico-pubblico, trattandosi invero di un affidamento di servizi da RFI ad ISPRA, dietro pagamento di un corrispettivo, senza una reale condivisione di attività e risultati (i quali sono di esclusiva proprietà di RFI) ed in assenza di una sinergica convergenza su attività di interesse comune, quali elementi richiesti ai fini dell’applicazione dell’art. 5, comma 6, del Codice.
Che si tratti di un appalto di servizi emerge altresì dalle disposizioni dell’art. 158 del d.lgs. 50/2016, ai sensi del quale «Relativamente ai servizi di ricerca e sviluppo le disposizioni di cui al presente codice si applicano esclusivamente ai contratti per servizi di ricerca e sviluppo identificati con i codici CPV da 73000000-2 a 73120000-9, 73300000-5, 73420000-2 o 73430000-5, purché siano soddisfatte entrambe le seguenti condizioni:
La disposizione, che conferma la disciplina dei contratti di ricerca e sviluppo già prevista nel previgente art. 19, comma 1, lett. f) del d.lgs. 163/2006, è stata oggetto di esame da parte dell’Autorità (Pareri sulla normativa AG42/2013 e AG 52/2016), la quale ha osservato che la deroga alla normativa di evidenza pubblica ricorre tutte le volte in cui l’affidamento dei servizi di ricerca sia disposto non nell’interesse esclusivo dell’amministrazione appaltante, per la soddisfazione di fini particolari di quest’ultima, ma anche per l’accrescimento delle conoscenze scientifiche in una data materia, ossia per il perseguimento di finalità più generali direttamente correlate con l’interesse dell’intera comunità e, più in particolare, con quello di favorire e promuovere la ricerca e lo sviluppo ai sensi dell’art. 163 del Trattato CE.
L’Autorità ha quindi distinto tra gli incarichi di studio, ricerca, consulenza e collaborazione ricompresi nell’allegato IIA del (previgente) d.lgs. 163/2006, ossia quelli i cui benefici sono a diretto vantaggio della stazione appaltante ed i cui risultati sono utilizzati dalla stessa nell’esercizio della propria attività istituzionale, come tali sottoposti alla disciplina del Codice e quelli che, invece, sono sottratti a tale disciplina (in passato previsti dall’art. 19, comma 1 lett. f), in quanto diretti a perseguire una finalità scientifica a vantaggio e nell’interesse dell’intera collettività, chiarendo che per questi ultimi trovano comunque applicazione i principi di cui all’art. 27 del Codice (oggi sostituito dall’art. 4 d.lgs. 50/2016) (del. 72/2009).
Dunque la deroga all’evidenza pubblica è prevista e consentita esclusivamente nel caso in cui attraverso il servizio di ricerca si persegua una finalità scientifica a vantaggio e nell’interesse dell’intera collettività, quindi ove non ricorrano entrambe le condizioni previste nel richiamato art. 158 del d.lgs. n. 50/2016, fermo restando – come sottolineato dall’Autorità – il rispetto anche in tale caso dei principi sanciti dal citato art. 4 del Codice.
Le considerazioni che precedono consentono, quindi, di confermare – in relazione all’Accordo in esame – che lo stesso configura un affidamento di servizi di ricerca sottoposto alla disciplina dettata dal d.lgs. 50/2016, ricorrendo nella fattispecie le due condizioni previste a tal fine dal citato art. 158: i) i risultati dei servizi previsti nell’Accordo appartengono esclusivamente ad RFI ai fini dell’esercizio della sua attività, (ii) il pagamento del corrispettivo è posto interamente a carico di RFI e peraltro già versato dalla stessa società in favore di ISPRA nel 2005 (come evidenziato nelle premesse dell’Accordo).
Per le motivazioni illustrate, l’Accordo concluso tra RFI ed ISPRA presenta, quindi, profili di non conformità sia alle disposizioni dell’art. 5, comma 6, d.lgs. 50/2016 sia alle previsioni dell’art. 158 dello stesso decreto legislativo.
Tali considerazioni consentono di ritenere superato il quesito formulato da ISPRA, in relazione alla possibilità di affidare a terzi (Università e Centri di ricerca) parte dei servizi inclusi nel suindicato Accordo, in deroga alle disposizioni del d.lgs. 50/2016, ritenendo non sussistenti – in merito a tali affidamenti – le condizioni previste dal citato 158.
Invero, trattandosi di un Accordo non coerente con le norme del Codice sopra richiamate, deve ritenersi non consentito procedere ad eventuali (sub)affidamenti da parte di ISPRA a soggetti terzi dei servizi previsti nell’Accordo stesso.
Alla luce di tutto quanto sopra,
Il Consiglio
Raffaele Cantone
Depositato presso la Segreteria del Consiglio in data 12 luglio 2018
Il Segretario Maria Esposito