Seminario sul Libro Verde della Commissione europea sugli appalti pubblici
Date:
08 aprile 2011 - 08 aprile 2011

Introduzione
L’Autorità nell’ambito dell’iniziativa europea di consultazione inerente il Libro Verde “Sulla modernizzazione della politica UE in materia di appalti pubblici.
Per una maggiore efficienza del mercato europeo degli appalti” ha tenuto, venerdì 8 aprile, a Roma, presso il Centro Alti Studi per la Difesa, un seminario di approfondimento, con la partecipazione di Bertrand Carsin, Direttore della Politica degli Appalti pubblici, della DG Mercato Interno della Commissione europea, nonché di una qualificata rappresentanza di personalità politiche, istituzionali ed economiche del settore.
Nel suo intervento introduttivo, il Presidente dell’Autorità, Giuseppe Brienza, ha richiamato la proficua collaborazione con la Commissione europea, anche attraverso la Presidenza in carica del PPN, la Rete Appalti Pubblici Europea ed ha confermato l’importanza della consultazione in corso del Libro Verde, nonché il valore degli appalti pubblici all’interno della strategia “Europa 2020”.
Fornendo una chiara ed aggiornata situazione sul mercato nazionale, il Presidente si è poi soffermato sullo stretto rapporto tra esigenze di semplificazione, certezza normativa e trasparenza del Mercato Unico quale importante strumento per riportare l’economia sul sentiero della crescita.
In tale contesto ha, quindi, messo in evidenza l’asimmetria tra l’accesso delle imprese UE al mercato dei Paesi terzi, rispetto alla indiscriminata penetrazione nel mercato europeo delle imprese di Paesi extra UE.
Di qui, la positiva valutazione del Presidente Brienza, all’annunciata iniziativa europea per l’armonizzazione delle disposizioni sull’Accordo Appalti Pubblici in sede OMC.
Il Direttore Carsin, nel confermare la bontà del lavoro comune svolto in questi anni, ha informato che le risultanze della consultazione saranno rese note in un conferenza il 30 giugno prossimo a Bruxelles e che entro il 2012 la Commissione predisporrà una direttiva da approvarsi entro il 2013.
Carsin ha, poi, sottolineato l’importanza della realizzazione dell’obiettivo della efficienza della spesa pubblica nel rispetto della concorrenza, della tutela dell’ambiente e di obiettivi sociali comuni da realizzarsi tenendo sempre presente l’esigenza di collegare gli stessi all’oggetto dell’appalto e della necessità di riequilibrare l’accesso al mercato delle imprese dell’UE rispetto a quelle dei Paesi terzi.
A tal riguardo ha confermato che la Commissione presenterà una proposta legislativa tesa a rafforzare la “reciprocità” dell’accesso al mercato nel contesto dell’Accordo Appalti Pubblici.
Inoltre, con particolare riferimento al supporto alle PMI, ha rilevato come le disposizioni tese alla semplificazione non possano prescindere dal rispetto dei principi comunitari di parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità e non discriminazione, per una effettiva concorrenza nel settore.
Infine, per favorire la ripresa europea, anche attraverso un maggior e miglior utilizzo del PPP, Carsin ha annunciato l’imminente proposta legislativa sulle Concessioni di servizi.
Per l’Autorità, inoltre, sono intervenuti il Consigliere Andrea Camanzi e il Consigliere Piero Calandra, che hanno trattato, nel dettaglio, la specificità italiana e le iniziative dell’Autorità in relazione ai quesiti del Libro Verde.
Info: Dirigente Ufficio Relazioni Internazionali e Comunitarie – dr.ssa Tiziana Bianchi – Via di Ripetta, 246 – 00186 Roma
tel. +39 06 36723270;
Email: t.bianchi@avcp.it
Intervento del Consigliere Andrea Camanzi
I. Premessa
Non si può discutere in modo proficuo delle proposte contenute nel Libro Verde della Commissione Europea, e della conseguente riforma delle direttive europee sugli appalti, senza tenere a mente due circostanze:
La prima consiste nell’arco temporale oggetto della riforma.
Stiamo infatti discutendo delle nuove “regole europee” da costruire per gli acquisti pubblici dal 2013-14 ad oltre il 2020.
Una occasione (rara di questi tempi) per una riflessione strategica e sistemica, da non sciupare.
La seconda riguarda il contesto in cui si colloca l’avvio del progetto di riforma.
Per far fronte alle conseguenze della crisi del 2007-08 e dare seguito alle misure di stimolo dell’economia ed agli impegni assunti e coordinati in sede di G20 e FMI, l’Unione Europea sta rafforzando i meccanismi di sorveglianza e coordinamento delle politiche economiche e di finanza pubblica con l’introduzione di un sistema strutturato di “Governance Economica” per l’Europa a 27 e per l’area Euro.
Ovviamente gli effetti di tali misure sul deficit degli Stati e sulla riduzione del debito pubblico a livelli sostenibili, si potranno manifestare solo a medio termine e a condizione che l’economia europea riprenda a crescere, trainata dalla innovazione e da aumenti di produttività e competitività nel segno della strategia “Europa 2020”.
D’altra parte i recenti eventi naturali (terremoto e emergenza nucleare in Giappone) e politici (moti del nord Africa e del medio oriente), non lasciano presagire una uscita rapida dalla crisi.
In questo contesto, le politiche basate sulla domanda e l’uso efficiente delle risorse finanziarie mobilizzate dalla domanda pubblica di lavori servizi e forniture, assumono un ruolo prioritario e strategico.
La discussione sulla riforma delle Direttive sugli appalti, aperta dal Libro Verde, è quindi oggettivamente e a pieno titolo parte della “Exit Strategy” dalla crisi e della strategia per la crescita.
II. Una agenda per il cambiamento – Le aree di riforma
Non c’è dubbio che, in un contesto come quello ora delineato, aumentano significativamente le aspettative delle imprese e dei cittadini che ricadono sulla domanda pubblica aggregata dei Paesi della Unione e sulla efficienza allocativa ed efficacia gestionale della spesa da essa generata.
Come attrezzarci perché ciò avvenga? Sul piano dei principi, la ricetta è relativamente semplice: più responsabilità (accountabilty), più flessibilità delle procedure, più trasparenza, più controlli sistemici in tempo reale, meno burocrazia, meno oneri ed adempimenti inutili e vessatori, più servizi per ridurre i costi di procurement per le imprese fornitrici e per le Stazioni Appaltanti: cose non facili da fare.
La differenza rispetto al passato è che oggi non ci sono alternative credibili.
Ciò rende il cambiamento possibile se perseguito a livello comunitario.
Che agenda suggerisce la Commissione al riguardo? Le domande formulate nel Libro Verde identificano con precisione le aree da riformare.
Alcune affrontano problemi specifici sui quali non mi soffermerò, altre invece questioni strutturali o sistemiche.
Fra queste ultime, vorrei esaminarne cinque che considero particolarmente utili per le finalità sopra descritte e meritevoli della nostra più attenta e costruttiva valutazione, anche in una lettura in chiave italiana del libro verde.
1. Il primo gruppo di questioni riguarda l’identificazione del perimetro, ovvero dell’ambito di applicazione delle direttive: un tema fondamentale, al quale molti altri sono collegati, e sul quale la Commissione – coraggiosamente – sollecita con insistenza una riflessione.
A questo riguardo, il LV propone di spingere verso l'alto la soglia di rilevanza comunitaria degli appalti suggerendo, allo stesso tempo, di ricollocare (secondo un modello analogo a quello utilizzato in sede GPA e Banca Mondiale) il settore dei “lavori” nel quadro di una disciplina dell'appalto di “servizi di costruzione”.
Per quanto possibile dovrebbe trattarsi di una disciplina uniforme.
Nello stesso insieme di proposte si inserisce, infatti, anche quella di ricondurre all'allegato "A" i servizi, che potremmo definire “speciali”, attualmente compresi nell'allegato "B".
Se accolto, questo orientamento avrebbe l’effetto di concentrare l’applicazione delle norme comunitarie sulla parte “alta” dei mercati.
Allo stesso tempo, si amplierebbe il volume degli appalti sottosoglia soggetti al mix delle politiche nazionali che, in aderenza al principio della sussidiarietà, dovrebbero avere un rapporto Costi/Benefici migliore.
Delle diverse motivazioni che ispirano questo insieme di ipotesi, mi soffermerei su una in particolare.
Credo si possa affermare che nelle "grandi" commesse - sulle quali si misura il funzionamento del mercato interno e nelle quali si esprime la competitività delle imprese europee - si combinano in misura crescente attività riconducibili, rispettivamente, al settore dei "lavori", da un lato, e dei "servizi", dall'altro.
D'altra parte, volendo spingersi oltre gli intendimenti dell'esercizio che ci occupa, sono queste le commesse che potrebbero formare oggetto di una disciplina comunitaria della concessione di servizi, grande assente e “convitato di pietra” del LV.
Quello che sappiamo, al riguardo, è che la Commissione ha rinviato l’avvio della discussione della disciplina comunitaria sulle concessioni di servizi ad una fase successiva alla conclusione della consultazione sul libro verde (…).
Al tema del perimetro si riferiscono anche le questioni che riguardano la controversa definizione degli "organismi di diritto pubblico" e dell’opportunità di rivedere la disciplina dei diritti speciali ed esclusivi e della loro attribuzione.
Allo stesso gruppo di preoccupazioni appartiene la riflessione su come assicurare maggiore efficacia alla procedura di esenzione dalla applicazione della direttiva 2004/17 nei casi di attività direttamente esposte alla concorrenza (art. 30).
Questo è un tema che incrocia questioni strategiche importantissime e di grande attualità in Italia ed in Europa.
Basti pensare ai settori dei trasporti, dei SPL e, più in generale, alle industrie a rete.
2. Il secondo gruppo di questioni riguarda il miglioramento dell’efficienza delle procedure di affidamento e dei criteri di aggiudicazione degli appalti.
Quanto al primo aspetto, merita attenzione l’interesse ad assicurare un maggior grado di "flessibilità" delle procedure.
Una ipotesi ampiamente discussa è quella di un promuovere un più ampio ricorso alla procedura negoziata previa pubblicazione del bando per tutti gli appalti.
Con riferimento all'Italia, potrebbe trattarsi di soluzioni di rilievo nel contesto della riforma federale dello Stato.
Riguardo al grado di applicazione della procedura negoziata, l’Italia presenta al momento una anomalia rispetto al resto dei Paesi europei, sulla quale tornerò in prosieguo.
La maggiore flessibilità delle procedure, in ogni caso, non può risultare in una attenuazione dei principi generali né nella lesione di legittime aspettative di certezza giuridica.
Per tutti questi motivi, esse dovrebbero essere accompagnate da adeguati meccanismi di trasparenza e tracciabilità, eventualmente anche di livello comunitario.
E' questo – quello della tracciabilità dei contratti – un esercizio sul quale l'Italia può fornire un contributo di esperienza (....).
Quanto ai criteri di aggiudicazione, la Commissione suggerisce in più punti che quelli esistenti (prezzo più basso e offerta economicamente più vantaggiosa) potrebbero essere integrati con un terzo criterio.
A tal proposito, merita attenzione la proposta di introdurre un criterio che consenta di valutare il costo dell’intervento con riferimento all’intero ciclo di vita del bene o dell’opera.
3. In terzo luogo, le ipotesi descritte esprimono un favor per procedure incentrate sulla 'qualificazione' e sulla 'responsabilità' della stazione appaltante nella fase di assegnazione della commessa e sul trasferimento della medesima responsabilità sul contraente privato in quella di esecuzione.
Nel complesso si profila l’ipotesi di ottimizzare il numero delle stazioni appaltanti, promuovendone la “qualificazione ad esercitare margini di discrezionalità” nelle decisioni di spesa.
Anche in questo caso, per l’Italia, si tratta di un insieme di proposte che, oltre ad alimentare verosimilmente le riflessioni degli studiosi del diritto costituzionale ed amministrativo, sono di estremo interesse nel contesto della riforma federale in corso.
4. In quarto luogo, e questa volta intervenendo sul lato dell’offerta, meritano attenta valutazione le ipotesi formulate per facilitare l’accesso al mercato da parte delle PMI.
Per dare sostanza al principio della parità di trattamento occorre, infatti, rimuovere gli ostacoli che tuttora impediscono o riducono tale accesso, soprattutto nei settori nei quali la partecipazione alle gare da parte di PMI o start-up (nate, nei casi più significativi, da spin-off tecnologici molto promettenti), costituisce il miglior modo per promuovere (anche attraverso la politica degli appalti pubblici) la diffusione di processi o prodotti innovativi, in linea con le indicazioni fornite dal Consiglio Europeo nelle scorse settimane.
Tra le possibili soluzioni una attenzione particolare potrebbe essere dedicata allo sviluppo di sistemi europei di prequalificazione.
5. In quinto tema orizzontale da valutare con attenzione traccia un percorso per allineare l’accresciuto ruolo delle stazioni appaltanti al pieno rispetto delle norme a tutela della concorrenza e degli aiuti di Stato.
Ogni revisione nel senso di un quadro procedurale più snello e flessibile, infatti, deve lasciare impregiudicata l’applicazione delle norme sugli aiuti di Stato.
D'altro canto, la riforma potrebbe costituire la sede in cui prevedere espressamente che se, nell’ambito della procedura di selezione ed aggiudicazione sono state rispettate le regole del mercato unico, si potrebbe ritenere superato positivamente anche il test della compatibilità con la disciplina in materia di aiuti di Stato.
Da ultimo, mi limito a citare, il tema delle relazioni con i Paesi terzi e della reciprocità di accesso ai mercati extra comunitari, affrontato nella relazione di apertura del Presidente Brienza.
III. Considerazioni conclusive - Alcune specificità italiane.
Il LV stimola, dunque, una discussione a tutto campo degli strumenti di modernizzazione e semplificazione della disciplina degli appalti.
In questo quadro “aperto”, un filo conduttore lega tra loro i diversi insieme di proposte imponendone una lettura sistematica.
Così, per cogliere compiutamente le implicazioni del nuovo perimetro delle direttive occorre collegare a questo tema le ipotesi di ridefinizione delle procedure anche nel senso di una maggiore flessibilità delle stesse.
Allo stesso modo si può intravedere un continuum tra “qualificazione”, “discrezionalità”, “responsabilità” delle stazioni appaltanti ed obblighi di “trasparenza” delle procedure.
Sul lato dell’offerta, l’attivazione del percorso virtuoso tracciato nel LV potrebbe consentire di valorizzare il tessuto imprenditoriale europeo, anche quello dei campioni “in erba”, ma operanti su mercati globali fondamentali per la innovazione e l’efficienza, etc.
Se ci chiedessimo “su quale tessuto si innesta in Italia l'insieme di proposte che analizziamo oggi?” credo che la riclassificazione dei temi-chiave della politica degli appalti nel medio-lungo periodo identificati dalla Commissione risulti, a prima vista, stridente rispetto all’esperienza italiana.
Vorrei concludere proponendo alcune considerazioni a questo proposito, augurandomi che possano fornire lo spunto per ulteriori riflessioni.
La prima considerazione riguarda la struttura del nostro sistema normativo.
Nella prospettiva temporale del 2020 appare scarsamente convincente un sistema come il nostro, nel quale è necessario ricorrere, ripetutamente e sistematicamente, a strumenti di deroga alle disposizioni del Codice.
Se, per adeguare le disposizioni del Codice ai bisogni emergenti delle stazioni appaltanti occorre procedere “per deroghe”, ciò vuol dire che la disciplina ordinaria è eccessivamente onerosa.
Una disciplina di natura generale troppo minuziosa e prescrittive finisce per indurre a disegnare la domanda pubblica sulla base delle regole disponibili anziché dei reali bisogni pubblici da soddisfare.
Allo stesso modo, non credo che potremo arrivare al 2020 fingendo che la forte polarizzazione delle procedure utilizzate non sia un segnale di inefficienza
. I dati disponibili dimostrano, infatti, un ampissimo uso (da leggersi come un uso superiore alla media europea) della procedura aperta in contrasto con uno scarso ricorso alla procedura ristretta (da leggersi come un uso inferiore alla media europea) e, verosimilmente, con un uso improprio di quella negoziata.
Al contrario, la realtà del mercato indurrebbe, da un lato, a valorizzare le procedure ristrette e, dall'altro a modificare quelle negoziate in modo da renderle utilmente alternative al dialogo competitivo – procedura, quest’ultima, poco utilizzata anche a livello europeo.
Vorrei dedicare un'ultima considerazione al tema della qualificazione delle imprese, al quale si collegano molti altri aspetti del mercato degli appalti.
Come noto, in Italia, il sistema di qualificazione differisce a seconda che si tratti del settore dei lavori, da un lato, o di quelli delle forniture e servizi, dall'altro.
Incidentalmente, potrebbe essere utile valutare, in un’ottica comunitaria, l’esperienza italiana in materia di sistema unico nazionale di qualificazione obbligatoria nel settore dei lavori.
Ebbene, questo duplice metodo ha mostrato limiti di efficacia esponendo le stazioni appaltanti ad un uso asimmetrico della discrezionalità ad esse attribuita.
Nel quadro della riforma potrebbe, dunque, considerarsi con interesse una evoluzione del sistema verso metodi di qualificazione delle imprese che valorizzino anche elementi reputazionali e di "vendor rating", parallelamente alla qualificazione delle stazioni appaltanti, di cui si è detto.
Torniamo così, ad alcune delle ipotesi di grande interesse già sviluppate nel LV.
Alla luce delle considerazioni che precedono, sta ora alle autorità nazionali e a tutti gli stake holders cogliere l'opportunità offerta dalla riforma degli appalti comunitari per affrontare alcuni nodi sistemici della disciplina.
Ciò tanto più in una fase, come quella attuale, in cui esigenze di sostenibilità condizionano in misura crescente le politiche di spesa.
Intervento Consigliere Piero Calandra
E’ motivo di compiacimento per l’Autorità riscontrare il rinnovato interesse dell’Unione per la disciplina e la politica degli appalti.
La recente crisi economico–finanziaria ha messo a dura prova la tenuta dell’Unione, stimolando anche posizioni protezionistiche che si accompagnano ad un sentimento di latente disimpegno.
Cruciale appare la qualificazione della spesa pubblica, che, oltre a rivestire ovvia e fondamentale importanza nel contesto delle politiche di riduzione dei disavanzi pubblici, si pone in funzione di una allocazione razionale delle risorse disponibili, che vanno utilizzate in vista del raggiungimento di efficienza e, ove compatibile, di obiettivi sociali e ambientali.
E’, quindi, questo il momento della riflessione e della condivisione: riflessione sulla futura articolazione della disciplina europea in materia di appalti pubblici; condivisione delle istanze provenienti dagli attori di questo mercato: operatori economici, stazioni appaltanti, ma anche cittadini.
Il trait d’union delle misure ipotizzabili è senz’altro costituito dalla spinta all’uso più efficiente dei fondi pubblici.
A questo aspetto, l’Italia ha recentemente dedicato due riforme della disciplina del bilancio pubblico, al fine di armonizzarla con i principi della nuova governance europea in materia.
In tema di appalti, le tendenze che emergono anche dalla lettura del Libro Verde, vanno nel senso di una maggiore semplificazione e di una maggiore flessibilità delle procedure di gara.
Soprattutto in ambito nazionale, infatti, il complesso di disposizioni sulla contrattualistica pubblica è stato a lungo percepito in funzione preventiva di comportamenti illeciti, conferendo all’iter procedurale una valenza per certi versi impropria.
Coesistono, nel mercato degli appalti, due fenomeni di segno opposto: da un lato, una iper-regolamentazione tesa a comprimere gli spazi di discrezionalità amministrativa e dall’altro, una deresponsabilizzazione dei soggetti incaricati di gestire il processo di approvvigionamento della PA.
La valutazione dell’economicità e dell’efficacia delle decisioni di acquisto pubblico è, infatti, spesso tralasciata sia in fase di programmazione della spesa sia in fase di controllo a valle del risultato finale conseguito dalla PA.
Un sistema di regole più snello potrebbe favorire una maggiore responsabilizzazione dell’acquirente pubblico, chiamato a comportarsi da “acquirente intelligente” che pianifica preventivamente i bisogni, impiega in modo accorto le risorse e misura la performance finale del decisioni assunte.
Sullo sfondo, è necessario rinsaldare l’orientamento delle liberalizzazioni che, sia in Europa che nei vari Stati membri, e l’Italia tra questi, ha subito un affievolimento tanto più preoccupante perché la crisi economica produce reazioni di rattrappimento.
Un trend del genere deve, invece, costituire l’occasione per favorire un clima di efficientismo nel quale si può ambientare, tra l’altro, una riforma delle procedure relative agli appalti.
Bisogna perciò contrastare, e questo lo si può ottenere soprattutto in sede di Unione, il rischio di ripensamenti dei paradigmi culturali che hanno sin qui orientato l’Europa.
La costruzione del sistema ha registrato una attenzione prevalente ai macro problemi della moneta, dell’allargamento e della riforma istituzionale che sia pure accolta in chiave riduttiva, vede ora un rilancio della logica dell’integrazione nella nuova governance economica comunitaria.
E proprio il contesto di riaffermata e più stretta integrazione deve rilanciare il tema dell’apertura dei mercati anche scontando un processo che non si può prefigurare con una linearità assoluta.
Il rischio infatti di abbandonare alla prevalente valutazione dei singoli Stati membri se secondare o meno processi di liberalizzazione può lasciare troppo spazio a colbertismi di ritorno senza con questo negare talune esigenze strategiche dei singoli sistemi.
Il sentimento che occorre contribuire a diradare è quello della paura.
In particolare, la paura del mercato, che annulla la propensione al rischio e la cultura dell’intraprendenza che porta con sé la cultura dell’innovazione.
Alternativo al sentimento della paura, ma con rischi corrispondenti, è il sentimento di sicurezza che il mercato unico si è ormai realizzato e quindi si possa anche distogliere la tensione positiva verso una promozione attiva.
Evoco questo scenario per ribadire che il contesto è importante per il clima culturale in cui operare sulla materia degli appalti.
Altrimenti, si profila il serio rischio che lo sviluppo delle procedure negoziate e, più in generale, il tema della semplificazione possa essere frainteso e percepito come un messaggio riservato agli amici, e così per altri istituti, come l’avvalimento e l’associazione temporanea di imprese, sulla quale non a caso in passato si è soffermata la nostra Antitrust.
Il risultato della responsabilizzazione delle stazioni appaltanti può essere perseguito mediante l’adozione di vari tipi di misure.
Per un verso, misure volte alla qualificazione delle stazioni appaltanti, volendo intendere con tale espressione l’adozione di un sistema di valutazione delle capacità amministrative e gestionali al fine di classificare le PA per classi di importo o per tipologia di contratti.
Ciò consentirebbe che ciascuna amministrazione indica gare e gestisca contratti in maniera proporzionata alle proprie capacità organizzative e gestionali.
Per altro verso, misure finalizzate alla accettazione consensuale delle best practices di mercato, che poggia sulla standardizzazione e sull’adozione di linee guida e bandi di tipo a supporto delle pubbliche amministrazioni e cioè, in sintesi, su sistemi di soft regulation.
In quest’ottica si è posta l’Autorità, segnalando di continuo questi criteri alle stazioni appaltanti ed elaborando, a livello di soft regulation, best practices la cui misura applicativa presenta riscontri abbastanza positivi.
Occorre, però, incrementare le professionalità specifiche nelle stazioni appaltanti ed inserirle in comuni ambienti di aggiornamento, proprio al fine della piena assunzione delle responsabilità operative che ne discendono.
Infine, misure atte a conseguire una riduzione dei centri di spesa, ad oggi eccessivamente frammentati: in Italia è in discussione il tema di unificare in centrali regionali di acquisto le sparse autorità aggiudicatrici.
Si tratta di un tema che incide in un momento in cui si stanno assegnando forti responsabilità ai governi locali e quindi l’unificazione pone problemi che riguardano l’autonoma determinazione dei vari soggetti politici, per cui pare preferibile immaginare un sistema differente di adesione volontaria, con carattere di maggiore cogenza per le stazioni appaltanti palesemente inadeguate per dimensioni.
Sul presupposto della qualificazione di stazioni appaltanti, è poi possibile perseguire l’obiettivo della semplificazione procedurale: in particolare, diventano valutabili le singole misure di semplificazione, che vanno dalle prospettate modifiche alla tripartizione tra appalti di servizi, lavori e forniture alla rideterminazione delle soglie di applicazione della disciplina comunitaria.
Ritengo, al riguardo, che non sussistano preclusioni alla possibilità di allinearsi al sistema inglese della dicotomia servizi e forniture, operando una distinzione sulle soglie a seconda dei tipi di mercati e bilanciando, tra l’altro, gli obblighi di pubblicità con l’esigenza di consentire adeguate opportunità economiche alle imprese, specie quelle che vogliano crescere.
Lo sviluppo della tecnologia informatica offre in relazione a questo aspetto enormi opportunità, giacché consente di pervenire ad un reale alleggerimento degli oneri burocratici (ad esempio relativi alle formalità di pubblicazione), privilegiando il principio della accessibilità: così, tra gli opposti estremi di un abbassamento della pubblicità in ambito comunitario ed il mantenimento dell’attuale sistema di pubblicazione, sarebbe ad esempio possibile ipotizzare, per gli appalti che presentano un potenziale interesse transfrontaliero, un servizio comunitario semplificato e gratuito di informazione sintetica sui bandi nei diversi Stati membri.
Ponendosi in quest’ottica, l’Autorità sta approntando processi di informatizzazione che dovrebbero evitare sia talune patologie riguardo alla veridicità dei certificati lavori che un drastico abbattimento dell’obbligo di ricercare ogni volta la documentazione necessaria attraverso accumulazioni in banche dati.
Più in generale, la completa digitalizzazione delle procedure è un obiettivo strategico da perseguire con forti misure incentivanti già nel breve periodo, per giungere, in una prospettiva di medio termine, alla obbligatorietà dei sistemi di e-procurment: sin da subito, è auspicabile stabilire un obbligo (e non più una facoltà) di pubblicazione integrale della documentazione di gara sui profili internet delle stazioni appaltanti.
E’ per altro verso opportuno sottolineare la necessità di coniugare una maggiore flessibilità dell’azione amministrativa con l’adozione di strumenti che, pur non sfociando in una iper-regolamentazione del mercato, consentano, comunque, un attento controllo delle relazioni contrattuali della pubblica amministrazione, in funzione di prevenzione della criminalità e, più in generale, al fine di isolare ed eliminare dal mercato le imprese scorrette.
Quanto detto impone sia la misurazione ex post della performance dell’acquirente pubblico, sia l’adozione di strumenti che consentono di mantenere, comunque, un’elevata attenzione agli aspetti di legalità ed inducono un maggiore grado di trasparenza nel mercato degli appalti pubblici, come la tracciabilità dei flussi finanziari.
Di sicuro interesse, in quest’ottica, è la possibilità di rappresentare alla Commissione europea l’esperienza italiana in tema di tracciabilità dei flussi finanziari (articolo 3 della legge 13 agosto 2010, n. 136, “Piano straordinario contro le mafie, nonché delega al Governo in materia di normativa antimafia”): l’istituto della tracciabilità dovrebbe di fatto assurgere a principio ordinatore dell’azione amministrativa o quanto meno essere riguardato alla stregua di una diretta conseguenza dei principi sanciti dall’articolo 1 della legge 241 del 1990 sul procedimento amministrativo e ribaditi dall’articolo 2 del Codice dei contratti, che, a loro volta, costituiscono diretta applicazione dei principi di buon andamento ed imparzialità ex articolo 97 della Costituzione.
Ho fatto cenno alla questione, ancora aperta, della misurazione della performance dell’acquirente pubblico.
Il tema ha diretta attinenza all’idea di finalizzazione della spesa pubblica anche al conseguimento di obiettivi sociali ed ambientali presente nel Libro verde.
L’indicazione di cosa acquistare deve essere affiancata da una rendicontazione dell’acquisto effettuato, al fine di poterne valutare l’impatto sociale ed ambientale.
E’ per tale ragione che, in linea con il Piano d’Azione Nazionale sugli appalti verdi (PAN-GPP, Green Public Procurement), adottato dall’Italia per attuare le raccomandazioni della Commissione europea sulla politica integrata dei prodotti e lo sviluppo del concetto di ciclo di vita ambientale in coordinamento con il Ministero dell’Ambiente della Tutela del Territorio e del Mare, l’Autorità ha istituito sul proprio portale un sistema informatico per il monitoraggio dei traguardi raggiunti in relazione agli obiettivi fissati da tali disposizioni.
Benché il monitoraggio, nel 2010, abbia dimostrato che l’applicazione della norma (vincolante per i
Regioni, Province e Comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti) non ha raggiunto, ad oggi, i risultati sperati (30% di acquisti verdi sul totale della spesa), è stato configurato un sistema apprezzabile in sé, in quanto permette di rilevare gli insuccessi ed individuare, così, i necessari correttivi.
Accanto alla rendicontazione ed al monitoraggio, si pone la prevenzione del rischio che la considerazione di finalità sociali ed ambientali si traduca in surrettizie restrizioni della concorrenza.
Può essere utile citare al riguardo la valutazione delle clausole sociali, che il legislatore italiano ha affidato all’Autorità.
E’ stata, in particolare, prevista la possibilità (e non l’obbligo) per le stazioni appaltanti di richiedere all’Autorità un parere sulla legittimità delle clausole del bando contemplanti “particolari condizioni di esecuzione del contratto”.
L’Autorità svolge, quindi, un’attività di indirizzo case by case sulla corretta applicabilità delle clausole sociali.
Il relativo parere ha natura non obbligatoria (avendo la stazione appaltante la mera facoltà e non il dovere di richiederlo) e non è vincolante.
Ciò nonostante, lo strumento della consultazione preventiva può favorire un maggiore ricorso alla previsione di clausole sociali ed un’applicazione uniforme delle stesse, con enucleazione dei limiti e delle condizioni di compatibilità: un simile meccanismo di verifica preventiva su base volontaria potrebbe essere generalizzato a livello comunitario.
Più in generale, per affrontare la questione della finalizzazione della spesa pubblica in appalti ad obiettivi sociali e ambientali, occorre riflettere su come coniugare le finalità proprie delle politiche verticali dell’Unione con gli assetti di una politica orizzontale, com’è quella degli appalti: da tale innesto dipende la valutazione di alcuni specifici interventi profilati nel Libro Verde, quali la valorizzazione del territorio e lo sviluppo di eccellenze locali, ma sempre in un ambito di compatibilità con efficienza ed economicità.
Alla riflessione sulla capacità dell’acquirente pubblico, sui controlli e sulle procedure di gara deve poi far da corollario un approfondimento delle barriere che si frappongono all’ingresso nel mercato da parte delle PMI.
Vi è, in merito, da compiacersi della recente presa di posizione dell’Unione nella direzione delle piccole e medie imprese, volta a dissipare in modo esplicito la considerazione che il mercato unico sia concepito esclusivamente per le grandi imprese.
E’ questo un tema che, accanto a quello della qualificazione della pubblica amministrazione, mi preme sottolineare.
Anche in questo caso, parte delle considerazioni da svolgere attengono al profilo della qualificazione degli operatori economici, che deve basarsi su di un insieme di parametri qualitativi/quantitativi che consentano di classificare le imprese sulla base delle effettive capacità, attinenti non solo alla fase dell’esecuzione, ma anche alla qualità delle performance operative ed alla struttura economico patrimoniale.
Il Libro Verde delinea al riguardo un insieme eterogeneo di possibilità: si ipotizzano suddivisioni obbligatorie in lotti, accesso privilegiato alle gare per le PMI innovative e in fase di start-up, se portatrici di un particolare know-how, concorsi di progettazione e maggiori possibilità di partecipazione all’aggiudicazione di appalti pre-commerciali.
Tali possibilità sono da valutarsi in relazione alla loro reale capacità di apportare innovazione e sviluppo nel mercato, abbandonando teorizzazioni e posizioni di principio.
Auspico che il dibattito così intrapreso possa condurre all’abbandono di una visione strettamente imperniata sul valore della “regola di legge” per favorire un approccio basato sul valore della “regolazione”, che abbia come obiettivo strategico e prioritario l’incremento degli standard di efficacia – efficienza ed il rispetto di rigorosi principi di trasparenza e proporzionalità, senza i quali la workable competition resta parola vuota o addirittura mistificante.
Ultimo aggiornamento 21/10/2021, 13:55
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Seminario internazionale
Roma, 8 aprile 2011